Pare il 1932 ma non è
Pare il 1932 ma non è.
Italia e anche New York.
La scena si svolge nell’area relax di un ufficio a tre piani, escluso il piano terra, quindi quattro.
Sulla sinistra una finestra aperta, si intravede l’esterno.
Il cielo è grigio, il vestito degli impiegati pure.
Sul fondo una macchinetta del caffè, circa a due metri e mezzo a destra dalla finestra.
Mario è già in scena, intento a far erogare un caffè corto che pare lungo.
Mario (entrando): Collega. [A mo’ di saluto]
Mario: Oh.. [A mo’ di saluto, come colto di sorpresa]
Mario: Gran brutta giornata.
Mario: Proprio.
Mario si affaccia alla finestra e guarda dritto davanti a sé, senza vedere; intanto Mario beve il suo caffè da un piccolo bicchiere di plastica. Mentre lo fa guarda per terra davanti a sé, in direzione della macchinetta.
Mario si gira verso la stanza, appoggia i gomiti e la schiena sul davanzale della finestra e guarda dritto davanti a sé, senza vedere.
Mario: Così anche ieri.
Mario: Cosa?
Mario: Gran brutta giornata.
Mario: Ah, sì.
Pausa.
Mario riporta le gambe, una dopo l’altra, sul suo baricentro, si alza staccando i gomiti dal piano ed esce di scena con passo non troppo veloce ma deciso.
Naturalmente, guarda dritto davanti a sé, senza vedere.
Mario ha finito di bere il suo caffè a piccoli sorsi, getta il bicchiere nel cestino accanto alla macchinetta ed esce di scena.
La scena è vuota.
Mario entra in scena con una moneta in mano, la inserisce nella macchinetta e preme il pulsante per un caffè corto; attende con gli occhi fissi sulla macchinetta.
Il caffè viene erogato, Mario lo beve, getta il bicchiere ed esce di scena.
Mario entra in scena con fare circospetto, si accosta al cestino, raccoglie il bicchiere gettato da Mario e lo poggia delicatamente per terra in posizione verticale a mezzo metro dal cestino; si rimette in piedi davanti al bicchiere e, fermo sul posto, ondeggia molto brevemente e ritmicamente fissando dritto davanti a sé mentre si guarda dentro senza vedere. Dopo dieci minuti riprende la comune azione esteriore come se non si fosse mai interrotta ed esce di scena con molta naturalezza.
La scena è vuota.
Mario fa per entrare in scena, posa il primo passo e repentino, meccanico fa dietro-front senza neppure mostrare il viso né altre parti del corpo, fatta eccezione per la gamba (si intenda il segmento tra piede e rotula).
Mario entra in scena con Mario.
Mario (entrando): Io non capisco.
Mario non risponde, sinceramente dispiaciuto.
Lunga pausa.
Entrambi sono davanti la macchinetta del caffè, si guardano negli occhi, immobili.
Mario: Non è concepibile.
Mario: Eppure è così.
Mario: Ma deve pur’esserci qualcosa.
Mario: Niente. Dico davvero.
Mario visibilmente turbato inserisce una moneta nella macchinetta e preme il pulsante per un bicchiere vuoto che pare pieno.
Mario (che intanto ha poggiato i glutei al davanzale della finestra, accendendo una sigaretta): Va tutto così bene.
Mario: Non tutto.
Mario: Tutto, ti dico.
Mario: Qualcosa va sempre male.
Mario: Non oggi.
Mario: Ma perché?
Mario: Non lo so.
Mario guarda indelicatamente negli occhi Mario, senza rivolgergli il corpo.
Mario: Vorrei.
Mario: Allora dillo.
Mario: Cosa?
Mario: Quello che senti.
Mario: Sto bene.
Mario: E basta?
Mario: E basta.
Mario esce di scena con uno stato d’animo che pare incollerito, e in effetti lo è.
Mario finisce di fumare ed esce di scena per tornare comunemente al suo ufficio.