L’attesa del colpo di scena
Nella tragedia greca quando le cose si facevano ingarbugliate si usava un espediente narrativo chiamato deus ex machina. Solitamente questo consisteva in una divinità che, accortasi del pasticcio in cui si erano cacciati gli umani, sgarbugliava l’intrigo in quattro e quattr’otto. L’attore che interpretava la divinità veniva letteralmente calato sulla scena con avveniristici marchingegni. Da qui il nome deus ex machina, letteralmente “divinità dalla macchina”. Ho sempre pensato che i greci avessero capito della vita ben più di quanto abbiano potuto le civiltà che si sono susseguite negli altri duemilacinquecento anni di storia. Il deus ex machina altro non era che un colpo di scena in grado di cambiare la prospettiva alle cose. Alla trama. Alla scena. Alla vita. Che poi sembra un espediente alquanto subdolo per cambiare le carte in tavola eppure è la vita stessa che a volte richiede il colpo di scena.
Un colpo di scena è quello che vorremmo quando il sabato sera scorre rancido e inutile in una spina di birra chiara, i tuoi compagni di bancone non hanno argomenti allettanti da inframezzare alle pinte e tu stesso trovi maggior conforto nelle evoluzioni di un sottobicchiere tra le tue mani piuttosto che in una voce amica. Allora ti chiedi: perché non me ne vado a casa? Ma poi la ragione più forte, quella che decide per l’ordinare un giro di medie, è sempre la solita: il colpo di scena.
Un colpo di scena è quello che vorremmo quando il mare è calmo e il vento non si lascia apprezzare. La barca che porta il tuo nome galleggia in una placida distesa di occasioni perse, rimandate, sputtanate in malo modo. Daresti un occhio della testa per un mal di mare, un giramento di testa, un conato di vomito e invece lo stomaco se ne sta al suo posto, in bolla perfetta. Come la superficie del mare. Allora pensi: perché non usare i remi? Ma poi la ragione più forte, quella che decide per il
l’attesa è la più dispendiosa forma di investimento, costringe a reinvestire gli scarsi guadagni e non si arriva mai alla ripartizione degli utili
Un colpo di scena è quello che vorremmo quando il cuore si scolora e l’anima inaridisce. La siccità ha causato un’epidemia di farfalle nello stomaco e la linfa vitale è ridotta a un rigagnolo di acqua putrida. Allora ti chiedi: perché non abbeverarsi a quell’altra fonte? Ma poi la ragione più forte, quella che decide per l’attesa della grande pioggia, è sempre la solita: il colpo di scena.
Un colpo di scena è quello che vorremmo quando i calendari perdono le pagine e i progetti si fanno ricordi. Gli obiettivi si offuscano, si fanno impalpabili e infine divengono sogni. Allora ti chiedi: perché non buttare giù due progetti nuovi? Ma poi la ragione più forte, quella che decide per ingrossare le fila del rimpianto, è sempre la solita: il colpo di scena.
E così si finisce come quel tale che attese tutta la vita l’invasione dei tartari in una fortezza del deserto. E’ un meccanismo perverso quasi quanto il gioco: l’attesa è la più dispendiosa forma di investimento, costringe a reinvestire gli scarsi guadagni e non si arriva mai alla ripartizione degli utili. Finché il capitale depositato è così ingente che non si ha più il coraggio di uscire.
I greci queste cose già le sapevano. Per questo avevano inventato il deus ex machina. Poi l’argano del marchingegno si deve essere inceppato e la divinità rimasta appesa a gambe all’aria. Con la soluzione dei nostri problemi.