La qualità della danza
Una bambina che fa danza classica è scontata come un cappotto in saldo da H&M.
I tuoi genitori, più per farti contenta e per via della vicinanza della scuola di danza a casa, perché va bene il fuoco dell’arte ma il traffico in città è una brutta bestia, ti iscrivono al corso rivolto agli esseri umani molto al di sotto del metro e mezzo di altezza.
E così inizi ad andare nella tipica scuola di danza classica e scopri, con somma delusione, che non ballerai con quei tutù del diametro della Cupola di San Pietro, ma con un gonnellino floscio e legato in vita, rosa sì, ma floscio come le foglie di lattuga lasciate due giorni fuori dal frigo e le scarpette che indosserai sono senza punta, una specie di ciabattina graziosa, ma pur sempre una ciabattina.
Ma il Teatro alla Scala val bene una scarpetta moscia, soprattutto perché nessuno ti ha mai detto che l’operazione che bisogna compiere per ficcare un piede in una scarpetta da ballerina non è tanto diversa da quella compiuta sui piedi delle povere bambine orientali di un tempo, un massacro di sangue, gesso e pelle.
Altro che leggiadria, ogni ballerina che si staglia verso il cielo in realtà è sospinta dalle bestemmie per il dolore che prova.
Ma sulla testa di ogni piccola ballerina in erba penzola una spada di Damocle fatta di ormoni e Dna.
Lo sviluppo non perdona e la danza classica non brilla per democrazia. Se il primo giorno la sala può essere popolata da piccole polpettine vestite di rosa, dopo dieci anni quella stessa sala deve essere popolata da leggeri grissini con le cosce d’acciaio e la volontà di ferro.
Se nel tuo Dna ci sono inscritte tette e culo puoi anche dire addio alle assi “della Scala” per passare direttamente ai pioli.
Questa delusione coreutica spinge qualcuna ad allontanarsi definitivamente dalla danza, qualunque essa sia, fatte salve fugaci capatine sulle piste delle discoteche per esibirsi nella nobile tecnica del doppio passo statico con ancheggiamento a destra e sinistra.
Ma per qualcuna quel fuoco rimane lì, tra i sogni di bambina che stentano a svanire e il corpo ormai adulto che spinge per esprimersi ingabbiato tra ufficio, computer, lavoro e doveri.
Ma per qualcuna quel fuoco rimane lì, tra i sogni di bambina che stentano a svanire e il corpo ormai adulto che spinge per esprimersi
Ma se si riesce a superare l’imbarazzo al confronto dei nostri desideri di bambine possiamo scoprire nuovamente il piacere dello scricchiolio del parquet sotto i piedi scalzi, un caldo abbraccio affacciato su uno specchio.
Stanche, affannate, un cambio veloce, via scarpe, calzini e il ruolo che indossiamo quotidianamente.
Quello scricchiolio sotto i piedi e il riflesso di sé stesse nello specchio, rimandano un’immagine diversa, leggera, bella, al di là dell’estetica, un’immagine di pace dove al centro del mondo ci siamo solo noi.
La musica che attraversa il corpo come il raggio di sole che racconta Salvatore Quasimodo, passa dalle orecchie, invade i neuroni, si propaga dalle sinapsi per arrivare ad ogni cellula.
L’insegnante si muove, precisa, rigorosa, irraggiungibile e allo stesso tempo terrena, un movimento dopo l’altro in un linguaggio che è tutto da apprendere in cui il corpo è costretto a piegarsi al volere delle note e della melodia.
Allora si ricomincia a danzare, spinte da una forza invisibile, tra le altre, parlando alle compagne con segnali sempre più precisi e complici.
Occhi negli occhi, un intimo contatto che si propaga nel corpo mescolandosi alla musica che come miele dà alla testa.
Un giro, un altro e la voglia ancora di danzare.
L’orologio segna l’ora, si torna al reale, via lo chignon, di nuovo calze e scarpe e il ruolo di sempre lo ricuciamo addosso, sino alla prossima lezione, portandoci dentro la gioia di aver dato una forma, anche se diversa, ai nostri sogni di bambine.