Io odio Peppa Pig
Io odio Peppa Pig e non sono la sola, lo so. Il fatto di avere compagnia però non mi aiuta. Pensavo di non dover mai dire questa frase, invece è arrivato anche per me il momento. Perché, dico, perché questa maialina antropomorfa piace tanto? Io non lo capisco. Ho provato a guardare attentamente, mio malgrado, le puntate. Cos’ha di speciale? I disegni sono molto elementari, del resto è stato tutto meticolosamente studiato a tavolino per fare presa su un pubblico di bambini. Forse sono i colori. I colori sono tanti, esagerati, stereotipati. Le colline sono verdi, i maialini rosa, il cielo blu e il fango marrone. Non ci sono mezzi toni, mezze misure, il mondo di Peppa è una dittatura di colori e forme.
Inglese. Un maialino inglese che parla. Ma ve lo immaginate nella realtà un maialino con perfetto accento british? Paura! Con quella vocina fastidiosissima, sia in lingua originale che nella versione doppiata in italiano. “Io sono Peppa Pig”. Piacere, io sono Elisabetta e ti odio. Ti odio perché riempi le mie giornate scandendone i ritmi, anche involontariamente, perché tutto parla di te. Ti trovo in TV, all’edicola, nelle vetrine dei negozi, perfino nelle mie riviste! Ti odio perché con la bella stagione pensavo di potermi dimenticare del tuo faccione rosa con gli occhi da vitello apatico, e invece ti devo sopportare pure in spiaggia, stampata sugli asciugamani, sugli ombrelloni, sui salvagente e sui secchielli.
Ti odio perché trasformi i bambini. Quando vedono i tuoi gadget diventano dei piccoli mostri urlanti. Basta una macchinetta automatica, di quelle dove devi mettere due euro e girare la manopola per avere un simpatico regalino a forma di maialino e delle caramelle dal gusto non meglio identificato. Davanti alla distributrice di sogni rosa, i piccoli fan, iniziano a tirare la mano di mamme e babbi che, recalcitranti, cercano di divincolarsi nella speranza di salvare la moneta sacrificale. Niente. Decisi a conquistare il trofeo, strattonano, sbattono i piedi, lacrimano fino a diventare rossi, all’urlo scandito di t-u-n-o-n-m-i-v-u-o-i-b-e-n-e! No, non ti voglio bene, ti ho solo partorito dopo sedici ore di travaglio e con un’episiotomia finale da urlo, non mi sono potuta sedere per settimane e no, non ti voglio bene.
Ecco perché io odio Peppa Pig, perché ho paura che tra non molto anche il mio bambino diventerà un piccolo mostro mangia-euro. Ma non è solo un discorso economico, è la dipendenza che mi preoccupa. Oggi è Peppa Pig, domani è una canna. Insomma, poi ti devi sentir dire “Non dargli la tetta che poi non lo stacchi più!” No perché è risaputo che la tetta crea dipendenza, infatti hanno appena scoperto un traffico illegale di latte materno spacciato dal Clan del Capezzolo. Ma dai, per cortesia, apriamo gli occhi, è Peppa Pig il vero pericolo per i nostri bambini! O meglio, le operazioni di marketing che le girano attorno.
Io volevo tenere mio figlio al riparo da tutto questo merchandising, e invece no, non ce l’ho fatta. Non puoi nulla contro i regali dei parenti. In principio furono degli innocenti calzini di George, poi un apparentemente innocuo uovo di Pasqua di George con pupazzetto mignon annesso, poi mi sono arresa. Ho alzato bandiera bianca. Lo ammetto. Ho comprato i sandali di George. Erano gli unici del suo numero. Ho continuato a ripetermelo come un mantra fino alla cassa, invece no! No, le ho prese perché sono fighe. Le scarpe di Peppa Pig sono trendy, e tu non vuoi che tuo figlio non sia trendy vero? Del resto cosa c’è di meglio per placare i sensi di colpa materni quando si esce di casa alle sei per andare al lavoro e si rientra al pomeriggio? Un bell’accessorio di Peppa Pig!
Mi consolo pensando a una piccola cattiveria, una sottile soddisfazione che mi sono tolta l’altro giorno. Mentre mio padre preparava, da buon sardo onnivoro, il tradizionale porcetto col mirto, ho preso in braccio il mio bambino e gli ho detto di fare ciao ciao a Peppa Pig che andava nel forno.