Viva lu Bammineddu!
Viva lu Bammineddu!
Il tintinnio della campanella ha lo stesso vigore dell’espressione che leggo nel volto concentrato di quell’uomo. Ha la dolcezza delle note e delle cadenze di questa antica ninna nanna intonata dalla Banda musicale e che riecheggia nenie lontane.
Din din… Din din… Din din.
Mi soffermo osservando i minimi dettagli dei suoi gesti e gli sguardi d’intesa con i suoi compagni Confrati.
Al centro dell’incrocio si fermano e strillano in siciliano:
E chi si beddu mmenzu a stu cuscineddu.
Viva lu Bammineddu!
E tutti dicinu chi si beddu.
Viva lu Bammineddu!
E chi si beddu mmenzu a stu cuscineddu.
Viva lu Bammineddu!
Cadenze che profumano di tradizione, risuonano di note antiche e richiami arabi che rimandano alle nostre abbanniatine.
Un Gesù bambino di cent’anni si aggira per le strade della città moderna, custodito dentro una teca calda e luminosa posta su una varicedda. Osserva i balconi bui e le finestre chiuse in questa sera invernale ventosa e fredda.
È portato a spalla da pochi Confrati. Tra loro c’è un ragazzino che urla con gioia quelle semplici parole di vittoria.
In questo tratto di città, frammenti di tessuto antico si accostano al tessuto presente e si toccano a pezzi. La piccola vara si muove e il Bambinello ci guarda contento, sorride a omaggiare il lavoro e la dedizione di questi uomini pronti a tralasciare famiglie e calde case festive, pur di dar corpo al loro Credo. La Banda intona la sua voce colorando di suoni frammenti di tradizioni isolate in un ritaglio urbano indifferente. Una ninna nanna a Gesù Bambino, una storia sentita da anime di mille colori.
La realtà trasferisce ritagli di elementi poeticamente irreali, senza farne percepire la distanza. Anche il borgo è un ritaglio di un’umanità ormai vuota del troppo pieno.
È la sera del sei di gennaio, l’ultima festa; ricordo che da bambina, non mi pesava pensare al giorno dopo, quando sarei tornata a scuola. Da bambina un giorno era lungo da passare.
Il Bambino rientra in Chiesa. Chiedo del Superiore della Confraternita di Santa Rita da Cascia, desidero sapere tutto su quella tradizione: da dove trae origine, da quanto tempo esiste, la storia del suo percorso. Ci presentano, mi porge il suo biglietto da visita.
Salvo
Autista per eventi (teatro, cene, tempo libero)
Badante
Cuoco per famiglie
Pulizie in casa o in condomini
Piccoli lavori di elettricità
Salvo è disoccupato. Lavorava da molti anni in un Hotel. Chiuso Albergo chiuso con il lavoro. Mi porge altri biglietti affinché possa pubblicizzarlo.
Con lo sguardo fisso e fiero, ancora affannato dalla fatica della lunga processione, mi dice che la tradizione del Bambinello risale a tre anni fa.
– Una tradizione nuova? Ma che tradizione è? – Mi chiedo.
E la risposta mi arriva da quello sguardo luminoso, dal suo compiacimento: le tradizioni scorrono nel nostro sangue, stanno nella nostra carne e fanno parte di noi, nessuno può sottacerle, neppure il dilaniarsi di quel dolore nascosto dovuto alla perdita del lavoro a cinquant’anni. Salvo me lo ha detto stasera accendendo le strade di questa squallida città moderna, infiammando gli animi di chi si annoia del troppo. Tutto risuona al ritmo di questa processione alla vita. La tradizione reinventata come rinascita, come Natale. Sorridono i Confrati, allegri che tutto sia andato bene. Dietro al Bambino la Banda ha battuto il tempo a questo tempo che ha perso il ritmo vitale, il suo valore assoluto. Ha battuto un tempo nuovo.
Salvo è quel tempo: il tactus che pulsa.
E stasera lo abbiamo ascoltato naufraghi nel contrattempo. Noi che non stiamo insieme, anzi, acceleriamo; che in battere o in levare, rulliamo forte per non ascoltare il rumore assordante delle nostre solitudini.
E chi si beddu mmenzu a stu cuscineddu.
Viva lu Bammineddu!
“E tutti dicinu chi si beddu.
Viva lu Bammineddu!
E chi si beddu mmenzu a stu cuscineddu.
Viva lu Bammineddu!