Ziggy, non ci lascerai mai soli
È proprio che non l’ho mai capito, o che non mi sono mai sforzata di capirlo. È proprio che anche ora che se n’è andato in modo inaspettato e misterioso, resta l’unica cosa veramente importante per me. È proprio che alla fine era quello che desiderava pure lui ma lo imparo solo adesso, leggendo interviste e interventi sparsi dell’era Ziggy.
Fino a qui, l’ho ammirato senza sapere né chiedermi perché, David Bowie. Quello che mi ha comunicato, sin dall’inizio, era l’importanza delle cose che non capiamo, che ci attraggono o anche respingono in maniera inconsapevole. Oltre il confine di quello che conosciamo c’è tutto ciò che non potremmo mai veramente conoscere, afferrare appieno o catalogare. Ho fatto mia proprio questa tensione verso le possibilità, il cosmo, il diverso; l’estensione del plausibile che trasmettevano la musica e il personaggio di Bowie.
Tutto era e resta contenuto in quella frase che dicevo da ragazzina: me lo ha detto Ziggy Stardust.
Come lo sai? Dove l’hai sentito dire? Mi chiedevano quando facevo affermazioni strane, provenienti dalla commistione tra la mia fantasia e un modo personale di intuire le realtà, e spesso poco conformi all’idea che si aveva negli anni Settanta di una ragazzina.
Non lo so, rispondevo, me lo ha detto Ziggy Stardust.
Ziggy era l’amico immaginario: solo che invece di essere un vecchio peluche o un tenero ragazzino idealizzato, era uno strano essere magro ed eccessivamente colorato, sempre con una chitarra a tracolla, che vedevo apparire sulla spiaggia o sul bus che mi portava a scuola. E che mi regalava splendida musica.
Ziggy era l’amico immaginario: solo che invece di essere un vecchio peluche o un tenero ragazzino idealizzato, era uno strano essere magro ed eccessivamente colorato
Non ho mai trovato Bowie sensuale, non mi è mai interessata (non mi interessa per principio cosa fa la gente nella propria sfera intima e privata a meno che non violi il privato di un altro) la sua vita sessuale. Lo trovavo bellissimo in modo quasi iconografico, algido, extraterreno. Il Duca Bianco: che nome perfetto.
Lo vedevo avvolto veramente di polvere stellare. Mi intrigava la sua volontà di spingersi e spingerci sempre oltre nella ricerca e nella accettazione del sé. Quanti noi abbiamo; tanti. Possono convivere in noi esseri contraddittori, e tutti reali. Non c’è difetto in questo. Una parte di noi ci piace, ci è comoda, un’altra vorremo nasconderla, ma perché? Proviamo ad accettarla, interpretarla. Ci aiuterà a evolverci.
Solo nell’ammissione di questo io sfaccettato, che non afferrerete mai appieno, io esisto, sembrava dirci.
Questo era il Bowie che mi affascinava. Perché questa ricerca trovava potenza e concretezza nella sua musica.
Se e quali mezzi, “leciti o illeciti” per la società, il nostro abbia utilizzato, con quale bravura abbia amministrato e moltiplicato i suoi guadagni; che sia stato strumento e prodotto di un sistema economico, non mi interessa affatto. Non sono qui per applicare critica sociale a un personaggio che per me ha valenza immaginifica.
Sono qui a riconoscere, con affetto e con senso sincero di deprivazione, che la morte di David mi ha toccato. Ho fatto di tutto nei primi dieci minuti per credere alla bufala. Ho evitato con cura di allacciare i fili dei suoi ultimi messaggi alle mie appannate sinapsi delle sette di un lunedì mattina iniziato dopo una notte insonne.
Sì sì, tutti bravi poi a dire che a pensarci era chiaro, era un testamento, era un geniale colpo di teatro con il quale si congedava dal suo pubblico.
Prima delle vacanze di Natale ho scritto quello che credevo l’ultimo pezzo della vecchia rubrica “Me lo ha detto Ziggy Stardust”, che oggi rispolvero per un’ultima volta.
Avevo annunciato l’arrivo di quella nuova, Ziggy non resta mai solo – entrambe evidentemente dedicate al personaggio/alter ego creato da Bowie. Qui ho fatto questa ammissione riguardo a Blackstar: “L’ho prenotato in largo anticipo e mi regalano pure una litografia, ma per dirla tutta non mi aspetto granchè; mi sembra un’operazione piuttosto costruita intorno a un Bowie inquietante ed esoterico”.
In pratica, in tempi non sospetti, invece di interpretare i segni lasciati da David come legati alla sua morte corporea, ho preferito pensare che si fosse dato all’occultismo! E anche il parlare con un amico del pezzo e video di “Lazarus” come di qualcosa di coraggioso e musicalmente ancora interessante, dove Bowie si mostra senza veli e parla della morte, non mi ha fatto assolutamente ricondurre tutto questo alla possibilità che il nostro ci stesse scrivendo un testamento. È proprio vero quindi che con il senno di poi siamo tutti bravi.
Devo dire addio al mio Ziggy? No. È sempre stato ultraterreno per me (e lo diceva anche lui, di sentirsi proprio così), e ora è davvero immortale. Nel brano “Lazarus” di Blackstar ce lo conferma con un messaggio che mi piace vedere correlato a John Donne, colui che sempre viene in soccorso quando devo prendere congedo dalla presenza terrena di chi ha contato qualcosa per me.
John Donne ( nella traduzione di Cristina Campo ):
Morte, non andar fiera
se anche t’hanno chiamata
possente e orrenda. Non lo sei.
Coloro che tu pensi rovesciare
non muoiono, povera morte,
e non mi puoi uccidere….
(..)
Perché dunque ti gonfi?
Un breve sonno e ci destiamo eterni.
Non vi sarà più morte.
E tu, morte, morrai.
David Bowie, Lazarus:
Look up here, I’m in heaven
I’ve got scars that can’t be seen
I’ve got drama, can’t be stolen
Everybody knows me nowLook up here, man, I’m in danger
I’ve got nothing left to lose(…)
This way or no way
You know, I’ll be freeGuardate qui, Sono in paradiso
Ho cicatrici che non possono essere viste
Ho drammi, non possono essere rubati
Tutti mi conoscono adessoGuarda qui, amico, io sono in pericolo
Non ho niente da perdere(…)
In questo modo o nessun modo
Sai, io sarò libero
Quindi non posso che parafrasare lo stesso titolo della mia nuova rubrica: Ziggy, non ci lascerai mai soli.
Ti ritroveremo, Starman. Sicuro.