Anche i Tool hanno un’Ænima
Fin dall’infanzia sono sempre stata, musicalmente parlando, un po’ fuori dai circuiti tradizionali generazionali. Ovvero: ho sempre ascoltato roba che la maggior parte dei miei amici non conosceva, snobbava o reputava di poco interesse. Che fosse musica classica – tantissima – il rock anni ’70 o i cantautori americani o italiani ho sempre avuto una predilezione per un certo tipo di genere e sono sempre stata poco attratta dalla musica cosiddetta cattiva. Poi si cresce, si cambia, ci si apre e si impara a conoscere e apprezzare ciò che prima non si prendeva neppure in considerazione.
Ed è in questo modo che ho incontrato i Tool e uno dei loro album, a mio parere, migliori: Ænima.
Se non li conoscete non saprei definirveli. O comunque potrei farlo con una serie di punti interrogativi. Sono alternativi? Progressivi? Avanguardia? Metal? Rock? Probabilmente i Tool sono tutto questo, ma poco importa. Tutto ciò che conta è che questi ragazzi hanno prodotto alcuni tra i più interessanti album nella storia del rock.
Tutti dovrebbero ascoltare Ænima qualunque siano le preferenze musicali non solo perché si tratta di uno dei migliori album mai creati, ma anche perché si ha di fronte qualcosa di unico e altamente influente sulla produzione di moltissime altre band e credo che questa sia una ragione sufficiente per fare un tentativo.
Non sono sicura di cosa sia più impressionante riguardo Ænima; il fatto che possieda la più brillante tracklist (se escludiamo le filler track) rispetto a – praticamente – qualsiasi album che io possa pensare, o il fatto che a partire dal brano d’apertura intitolato Stinkfist (sì, esatto!) riesca ad essere uno dei più maturi della suo genere.
Siamo nel 1996 e con l’uscita di questo album i Tool si trovano in mano qualcosa di inaspettato, per chiunque, forse anche per loro stessi: un’opera più adulta rispetto alle precedenti, musicalmente e liricamente, e tra le più arrabbiate che si possa sperare di incontrare.
Come è ormai consuetudine per i Tool, Ænima inizia senza pretese, con uno strano effetto sonoro che accompagna verso la prima traccia, la già citata Stinkfist. Quando la voce di Maynard entra, è oscurata da una sorta di filtro che aggiunge peso e profondità alle parole che, altrimenti, potrebbero sembrare, come dire, un po’ sconce. Poiché però si tratta dei Tool, ci troviamo di fronte a testi densi, pretenziosi ma brillanti e la metafora del fisting è utilizzata per mostrare quanto la società sia diventata insensibile, a causa di ciò che viene mostrato al telegiornale ogni giorno in una sorta di anestesia collettiva. Superato il primo impatto, le parole si rivelano essere più poetiche di quelle presenti negli altri loro album, evitando gran parte di quella sorta di spiritualità presente in Lateralus (2001). I testi in Ænima sono complessivamente più semplici, più brutali e più diretti di qualsiasi lavoro successivo e questo si riflette molto bene anche nella struttura delle canzoni che risultano non essere così apertamente appariscenti in termini di musicalità (penso a Schism in Lateralus o Vicarious in 10.000 Days) ma ci sono sicuramente momenti straordinari disseminati in ognuna: hanno solo bisogno di un po’ più di attenzione.
L’album è molto più profano rispetto alle opere successive, ma si inserisce perfettamente nell’atmosfera che crea senza risultare immaturo. Tranne, beh, in Hooker With A Penis, ma questa è ironia, su! Il brano di chiusura, Third Eye, vanta il maggior numero di lamenti dell’intera carriera di Maynard, con il mantra “Prying open my third eye” che si scontra con il silenzio che lo precede. La voce di Maynard è meno raffinata rispetto a 10.000 Days ma, ancora una volta, si adatta perfettamente al mood dell’album, che è riassunto al meglio nella desolazione dell’immagine in copertina.
Tutti dovrebbero ascoltare Ænima qualunque siano le preferenze musicali. non solo perché si tratta di uno dei migliori album mai creati
Ænima è un album intellettuale e cerebrale, è un album di grandi emozioni e ricco di simbolismo e psicologia junghiana. Un aspetto importante dei Tool, infatti, è la struttura dei loro album, strana a volte, ma ben pensata e stimolante.
Non ho parlato, fino ad ora, di un elemento chiave del disco, ed è quella caratteristica che sembra far infuriare la gente. Ci sono molte filler track. Alcune sono di soli trenta secondi o poco più, altre arrivano fino a quattro minuti e sì, possono essere fastidiose. Tuttavia, non credo che si possano considerare di ostacolo alla qualità complessiva del disco come molti pensano; quelle brevi sono abbastanza discrete e non rovinano l’esperienza di ascolto e quelle più lunghe, beh, si possono saltare. Le vere canzoni sono più che perfette e in grado di compensare senza fatica questo difetto.
Penso di aver detto tutto ciò che è importante dire su Ænima, ma, ad essere onesti, la vera qualità del disco non può essere raccontata. Odio dirlo, ma deve davvero essere vissuto. Si tratta di un album che richiede molto impegno per accedere alle sue profondità. Paragonato all’opus magnum Lateralus e al più accessibile 10,000 Days, Ænima potrebbe sembrare, in un primo momento, il fratello minore delle due pietre miliari della band. Ma non è assolutamente così: certo, si tratta di un lavoro dal profilo più basso rispetto ai suoi successori, ma Ænima merita assolutamente lo sforzo necessario che ci vuole per scoprire il suo fascino e per rendersi conto che non c’è nulla da cambiare, si ha già per le mani un capolavoro.