Io, lei e un patto
Abbiamo stretto un patto, io e lei e finora lo abbiamo onorato entrambe. Tra femmine ci si intende e noi ci rispettiamo, anche se apparteniamo a due specie diverse. Del resto, quante volte si sente dire di una femmina umana che è furba come una volpe?
Diciamo che fra noi ci sono delle affinità.
Ma torniamo al nostro patto.
Ero una cucciola quando io e lei ci siamo trovate. La mia mamma non era più tornata, io avevo cominciato a vagabondare in cerca di cibo. Faceva freddo, vedevo la neve per la prima volta e mi ero ammalata. Una malattia subdola mi stava facendo perdere il pelo, della coda non mi restava più niente e stentavo a scaldarmi. Cercavo di andare a caccia di piccoli roditori, o di qualche uccello infreddolito, ma non è che fosse così facile. Mi mancava l’esperienza, non avevo fatto in tempo a imparare la tecnica. Insomma, avevo fame ed ero malata.
Vagando nella neve a un certo punto avevo incontrato degli odori appetitosi che avevano fatto torcere quello che restava del mio povero stomaco ormai quasi atrofizzato. Il naso mi funzionava ancora molto bene, così raccogliendo delle forze da chissà quale riserva ho seguito la scia. Mi sono ritrovata nei pressi di alcune tane di umani, sparse qua e là a ridosso del bosco.
Lo sapevo che non dovevo avvicinarmi, ricordavo quello che mi aveva insegnato la mamma, ma non potevo resistere. Dovevo rischiare.
La prima di quelle tane era isolata dalle altre. Era da lì che provenivano gli odori buoni. C’era una recinzione intorno, ma scavando nella neve sono riuscita a creare un passaggio. Ho fatto appena in tempo a passare dall’altra parte, a vedere una piccola costruzione da cui giungeva il chiacchierare confusionario di galline pettegole, poi… non ho visto più niente. Ero troppo debole, mi sono accasciata lì dov’ero. O almeno credo.
Ero troppo debole, mi sono accasciata lì dov’ero. O almeno credo.
Mi ero ritrovata poi al chiuso in un posto caldo, in mezzo al fieno. Accanto a me del cibo, non so cosa fosse, roba da umani, ma non ero stata a chiedermelo, l’ho mangiato! Poi ricordo di essermi acciambellata, rinfrancata, e anche se la coda pelata non mi aiutava, grazie al tepore del fieno mi ero di nuovo appisolata.
Non so quanto tempo, alla fine, sono rimasta chiusa lì dentro. Fino a che ero troppo debole non me ne preoccupavo. Il cibo arrivava e avevo anche visto da chi. Da una femmina umana che veniva tutti i giorni, me lo metteva accanto senza troppo avvicinarsi e aspettava che lo mangiassi prima di andarsene. Alla fine mi ero incuriosita. Vedevo che non aveva intenzione di farmi del male, ero tranquilla e quasi aspettavo che venisse a trovarmi. E non solo per via del cibo.
Poi lei prese a parlare. Cosa strana, capivo quello che diceva. Aveva un tono calmo, sereno, carezzevole. Mi stava dicendo che voleva curare la mia malattia. Che dovevo fidarmi di lei, che aveva la cura giusta per me.
Che dovevo fare? Ero così piccola, avevo tanto bisogno di credere ad un po’ di amore. E la coda mi faceva male, stavo perdendo il pelo anche in altri punti. Esitante, speranzosa, con in testa ancora gli avvertimenti di mia madre, ma con tanto vuoto nel cuore, mi ero avvicinata alla sua zampa tesa. Gliel’avevo leccata, sperando che mi capisse come io capivo lei. E così è stato. Una polvere bianca mi avvolse la coda e quello che restava della pelliccia. L’umana diceva che non dovevo scrollarmela via né leccarmela, che sarei guarita grazie a quella polvere e al buon cibo che mi avrebbe portato.
Ebbene, si stava così bene in quel posto caldo, con il chiacchiericcio delle galline a farmi compagnia, con l’umana gentile che non aveva paura di me e non me ne faceva, che non avevo alcuna voglia di andarmene. Facendo finta di trovarmi fra le zampe di mia mamma mi ero lasciata coccolare.
Qualcuno avrebbe detto che ero furba, e parlando di volpe ci sta.
Ero così a mio agio che quando avevo cominciato a stare meglio, a recuperare peso e forze, anche se mi allontanavo per un po’ poi tornavo sempre da lei. Ero mica matta a starmene da sola. Qualcuno avrebbe detto che ero furba, e parlando di volpe ci sta. Ma io non tornavo per interesse. Solo per amore.
Ero così innamorata della mia umana che non aveva faticato a convincermi che non avevo motivo di andare a razziare i pollai. Se lei era contenta che non lo facessi, non lo avrei fatto. In cambio avevo il cibo sempre pronto per me.
Era questo il nostro patto, quindi. Io lasciavo in pace le sue galline e quelle degli altri e in cambio avrei avuto il pasto assicurato e una vita tranquilla.
Sarò anche furba, di certo non sono scema. Le galline mi stavano anche simpatiche, perciò non mi è costato niente adeguarmi.
Per un po’ siamo stati tutti bene. Ora però qualcosa è cambiato.
Ieri alcuni umani venuti a stare qui da poco mi hanno vista gironzolare nei paraggi e mi hanno sparato addosso! Per fortuna la mira non era delle migliori e non mi hanno presa. Ma che paura! Mi sono intrufolata di corsa nella mia tana, circondata dalle galline che un po’ erano spaventate anche loro e tuttavia mi hanno circondata sbattendo le ali per proteggermi. Non che potessero fermare una pallottola, ma come non apprezzare tanta generosità? Una ha perso perfino un uovo dall’emozione!
La mia amica umana è intervenuta subito e ha litigato forte con i suoi vicini. Ma che pazzi, sparare così vicino alle tane! Ha provato a spiegare loro che io non ero pericolosa, che convivo con le galline senza far del male a nessuno. Niente da fare, non sentivano ragioni.
Quelli mi volevano proprio morta! E sospetto che ne avessero anche un motivo che nulla aveva a che fare con il mio presunto appetito famelico. Io penso che volessero la mia pelliccia. Ora è diventata bella, folta, calda. Pure la coda si è rifatta.
So che gli umani hanno questa bramosia di scuoiarci con la scusa di usare il nostro pelo per ripararsi dal freddo. Ma loro non hanno bisogno di pellicce! Me lo ha detto la mia amica, che un giorno è tornata da me piangendo e accarezzandomi tutta mi ha raccontato di aver visto in una vetrina (ha detto così) una grande pelliccia fatta di tante code di volpi e anche qualcosa di più. Ha pensato a me, terrorizzata, sentendo il bisogno di abbracciarmi. Che dire… anche io mi sono stretta a lei, ho giocato un po’ per farla ridere. Ma questa cosa ci ha turbate entrambe.
Adesso ci mancavano pure i vicini… lo so che vogliono la mia pelliccia. Non credono al patto che intercorre fra me e l’umana, dicono che non è possibile.
Siamo preoccupate.
Passiamo molto tempo abbracciate, a difenderci a vicenda, ma io non posso stare sempre chiusa qua dentro, qualcosa mi chiama, là fuori. Per quanto bene voglia alla mia amica, ogni tanto devo andare a vedere il mondo, il mio mondo.
Insomma, stiamo studiando cosa fare per salvaguardarci dal fucile dei vicini.
Io sì, l’ho detto, sono preoccupata e ho un po’ paura, lo ammetto. Però penso che io e la mia umana siamo entrambe furbe, due vere volpi, e insieme troveremo una soluzione. Ne sono sicura.
Faremo un altro patto, io e lei, e ce la rideremo sotto i baffi. Magari insieme alle galline.