Zash Country Hotel, spremuta di Sicilia
Il sentiero si offre generoso alla nostra auto nella penombra della sera mentre un effluvio agrumato ci stuzzica l’olfatto vagheggiando nell’aria. Accecati dai fari emergono man mano dall’oscurità, ai nostri lati, i filari composti d’un immenso aranceto, talmente gravido di frutti da perderci gli occhi per la meraviglia. Non credevo che un albero potesse dare tanto frutto, né che tanti alberi così carichi di frutti potessero esistere al mondo, mentre gli aranci diradavano in mandarini, e ancora altre varietà di frutti arancioni figli di queste, che per poterle conoscere bisognerebbe essere esperti botanici.
la Sicilia non avrebbe potuto darmi benvenuto più intenso, offrendosi a me vestendo, come in abito da sera, i suoi frutti più emblematici
Solo vedendo tante arance in una volta sola, mi capita come per la prima volta di vederne una. Con la sua buccia spessa e callosa, più di altri frutti, e butterata come la Luna, invasa da quella sorta d’impalpabile acne che ne rende ruvida la pelle, così diversa dalla liscia mela, con quella sua superficie così aderente. No, le arance sono tutt’altra cosa, e la loro buccia sembra connotarne il carattere. Spessa, perché hanno di prezioso da nascondere. Da preservare. Un frutto carnoso, denso di acqua, così spugnoso che non si saprebbe dire, a mangiarne, se non si stia piuttosto bevendone. Così aromatico da risultare inconfondibile già alle prime gocce di quel carattere zuccherino tanto caro ai bambini, nella cui personale classifica forse la spremuta d’arancia è seconda solo al latte.
Perché Zash è intanto, e soprattutto, un giardino
Nel bianco splendente delle camere, così essenziali nei tratti d’arredo eppure così lussuose, è un attimo far pace con se stessi, allietati dalla vista del mare che degrada all’orizzonte. Se l’inverno è un paradiso, penso, come sarà mai, qui, d’estate, mentre le nubi si avvicendano minacciose davanti al cielo stellato, e fanno subito sera.
Sera, e quindi cena. Che si svolge in un antico palmento del secolo scorso, vera cattedrale del sacro lavoro dedito alla messa della produzione del vino. Un palmento, nell’economia dell’epoca, era tutto. Era il luogo in cui avveniva la pigiatura dell’uva; piedi di donne danzanti balli tradizionali, col mosto alle caviglie e le unghie rosso rubino, ma non di smalto. Significava vita, lavoro, opportunità. Significava sodalizio, intesa, sudore; braccia di uomini ad abbracciare il torchio, coi muscoli tesi e le vene pulsanti al collo. Significava anche festa, e tra le sue pareti ancora imbevute del mosto antico sembrano riecheggiare le note della musica d’organetto che accompagnava i lavoratori nel corso delle loro lunghe giornate di lavoro che erano preludio allo sgorgare del vino nelle botti.
Il ristorante di Zash è ospite del palmento, e i suoi commensali possono rivivere i fantasmi di quel glorioso passato mentre assaporano le prelibatezze preparate per loro da Giuseppe Raciti, chef meno che trentenne di recente incoronato secondo miglior emergente meridionale e fiore all’occhiello dell’hotel, che con lui annovera in casa la vera eccellenza della cucina italiana.
La sua cucina è sintesi della sua terra e lui, catanese doc, non può che riaffermare nei piatti la genuinità degli ingredienti e delle preparazioni, ammantandoli con tocchi di estro che rasentano la genialità e che della Sicilia, in fondo, sono la quintessenza.
Così col suo arancino di alici alla beccafico, che ha strabiliato il celeberrimo Vissani; così con La fine del mondo, il dolce finale che è vero e proprio prodigio, e non solo di gusto, come potete vedere dal video.
Andate da Zash. Per staccare dal mondo, per capire voi stessi. Per perdervi nella brezza e sentire profumo d’arance, o di zagare, secondo la stagione. Per dormire in giardino protetti da un sottile cristallo. Per scoprire l’eleganza e la cordialità. Per inebetirvi nella Spa. Per affinare il gusto e conoscere nuovi sapori.
Non sarà mai troppo tardi.
Siamo stati al Zash Country Boutique Hotel
di Riposto (CT) info qui: www.zash.it