Malinconia post festività
Finite le feste, finito l’anno vecchio, finiti i bagordi. I riflettori si spengono e anche le lucine dell’albero lasciano il posto ai rami bui che con un certo languore vengono spogliati per riporre palline e decorazioni nella loro scatola, pronte per il prossimo Natale.
Io faccio sempre l’albero in ritardo e così, alla fine dei conti, me lo godo per una settimana più o meno, insomma, giusto giusto il tempo ristretto delle feste, nulla di più. Ma disfarlo non mi è mai piaciuto. Togliere i fili di lucine con cautela, ripiegandoli con perizia e pazienza tibetana, pur sapendo che tra dodici mesi dovrò perderci nuovamente mezza giornata per districarli, staccare le palline perdendo sempre, puntualmente, tra i rami, i gancetti che ogni anno vengono decimati, ecco, tutto questo non mi piace. Epperò anche tenere l’albero dopo che il Natale è passato mi irrita. Un moncone che ricorda ogni giorno quel che è stato e che più non è.
Ma infondo, quello che mi manca delle feste è quell’aria magica, quell’atmosfera che sa di famiglia e compagnia. Io, figlia unica, ho sempre aspettato con ansia le vacanze di Natale perché ci riunivamo tutti a casa di nonna, tutti i miei cugini coi quali si aspettava l’arrivo di Babbo Natale seduti attorno al caminetto. Poi si cresce. Chi si sposa da una parte, chi va a vivere in America, chi litiga. Nulla è più come una volta, ma forse cambia anche la Un altro Natale se ne va e non penso più che sia uno in più a quelli passati, ma uno in meno tra quelli a venire.
E invece no, pur di fare un regalo ti impacchettano anche la cacca del cane facendoti credere che sia un’opera di un’artista contemporaneo. Ecco, questo è l’aspetto che meno mi manca delle feste. Come non mi mancano quei pranzi di famiglia organizzati da certi parenti che armeggiano in cucina per ore solo per far vedere cosa sono in grado di fare. No cari miei, su di me non fate presa. Preferisco un panino al pomodoro, ma stare con le persone che amo. Che poi sono proprio quelle che mi sono mancate in queste ultime feste, ché gli assenti si sentono molto più dei presenti. E qui la malinconia delle feste che sono finite si somma a quella degli altri Natali in cui eravamo di più e più felici. E mi torna alla mente quel senso di angoscia misto a struggimento che sentivo macerare nello stomaco il giorno prima del rientro a scuola. Compiti finiti, pioggia che sbatte sui vetri, mio padre che è ritornato al lavoro da qualche giorno, mamma che stira sul tavolo dove ha messo una coperta verde che funge da mollettone, il gatto che ronfa pesantemente sul cuscino della sedia.
Non c’è telefono, non ci sono cellulari e la Tv è in bianco e nero. L’albero, rigorosamente finto, attende di essere piegato come un salame e conservato nel buio degli scaffali dello sgabuzzino. Le statuine del presepe sono chiuse nella loro busta e sono tutte mischiate: pastorelli, Re Magi, pecore, artigiani, tutti uno sull’altro senza distinzione di classe.
Un altro Natale se ne va e non penso più che sia uno in più a quelli passati, ma uno in meno tra quelli a venire.