L’Odissea è una cosa di tutti noi
Qualche giorno fa un tale mi chiese per quale motivo, a mio parere, ci sono opere letterarie che si tramandano nei secoli mantenendo inalterato il loro messaggio e l’interesse di chi le avvicina. A suo dire, questo dipende dalla forza del racconto e dalla capacità di attrarre la curiosità del lettore attraverso gli avvenimenti proposti. Costei portava quindi a prova della propria tesi l’Odissea omerica, esempio di narrazione avvincente, ricca di personaggi curiosi, ribaltamenti di scena e dominata dal classico eroe capace di superare infinite prove e mantenere dritta la rotta verso il proprio obiettivo. Il che non è del tutto vero e da qui partiva la mia obiezione.
Ora, derubricare l’Odissea ad action movie e spiegarne così il successo millenario mi pare un po’ riduttivo. Che poi, dopo che la nostra razza ne ha viste di tutti i colori, che si possa ancora impressionare per un Polifemo affamato di carne umana piuttosto che rimanere sconcerta di fronte alla fedeltà della sposa Penelope, mi pare se non altro fuorviante. Quindi?
Quindi io penso che il motivo per cui un’opera come l’Odissea sia stata in grado di superare millenni, culture, dispute filosofiche e religiose non sta nella storia in sé, pur fondamentale, bensì nella sua capacità di rappresentare la vita sotto forma di metafora. E la vita, epurata dalle necessità che i differenti contesti storici impongono, sempre quella è, da Ulisse fino ai tempi nostri.
Che l’esistenza di ognuno, come l’Odissea, sia un lungo viaggio mi sembra cosa arcinota e anche un tantino inflazionata. Tuttavia all’interno di una vita ci sono innumerevoli vite e, quindi, viaggi. Solo che non sappiamo quando questi hanno inizio e soprattutto non sappiamo se e come finiranno. Non ce lo aspettiamo e tuttavia ne siamo causa. Magari può succedere quando le cose girano bene e il
E la vita, epurata dalle necessità che i differenti contesti storici impongono, sempre quella è, da Ulisse fino ai tempi nostri
Così il tempo, quello che nei nostri progetti abbiamo scandito in un determinato modo, ci sfugge di mano. Le nostre capacità, che avremmo immaginato spendibili in chissà quali nobili cause, ci servono invece per superare incolumi gli imprevisti di ogni giorno. Come evitare le insidie di Scilla e Cariddi, o sfuggire alla morbosa e asfissiante Calipso. E alla fine ci ritroviamo con una vita che non abbiamo scelto per noi e tuttavia talmente ricca di avvenimenti che ci sarà sempre un Alcinoo qualunque ad ascoltarci rapito.
E poi le donne. Tante, eppure poche quelle in grado di scuotere l’animo alle fondamenta. Come Ulisse peregriniamo tra il letto di Circe e quello di Calipso, ma solo Penelope, che forse ancora ci attende e forse più non ci ama, ci dà la forza di continuare questo viaggio infernale. E poi gli uomini. Perché forse Penelope, non ci è dato sapere, non avrà atteso casta il ritorno dello sposo ed altri uomini avranno giaciuto nel suo letto, eppure solo Ulisse è il primo pensiero del mattino e l’ultimo della sera. L’unico uomo per cui vale la pena sperare.
Momenti di sconforto, perdizione. Piccole illusioni, grandi delusioni. Dolore, errori, tanti errori. Ripensamenti. E naufragi. Di quanti naufragi è fatta la vita? E quante travi ci sono a salvarci la vita in quel mare blu? Ulisse è molto più umano di quanto ci sembri.
L’Odissea inizia dove finisce un’altra storia e finisce dove quell’altra storia era iniziata. L’altra storia si chiama Iliade, inizia a casa e narra di tante cose: amore, onore, fedeltà, riscatto. Cose per cui scatenare una guerra. Quando la guerra è finita, si torna a casa. E qui arriva l’Odissea. Che dovrebbe essere viaggio e invece è una vita. L’Iliade non finisce granché bene. L’Odissea si. Più che altro finisce. Ma solo perché Omero dev’essere invecchiato e di scrivere un’altra storia non se la sentiva proprio.
Perché altrimenti il viaggio continuava. Come, non ci è dato sapere.
Se ci fosse ancora mondo
sono pronto, dove andiamo?
(L. Dalla, Itaca)