L’appartenenza
L’appartenenza non è il conforto di un normale voler bene, l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé. Così dice Giorgio Gaber, in chiave sociale. E se il tema è la sfera personale, affettiva, sentimentale?
Ogni individuo è libero. E in quanto tale, anche essenzialmente solo. Unico, indivisibile e mai perfettamente incastrabile in alcun mosaico perfetto. Vero. Ma anche no. Non sempre, non esattamente. Perché poi ci sono alchimie strane che scattano, tra questi strani soggetti che sono gli esseri umani. It’s a kind of magic, come cantava Freddie Mercury. Ci sono fili invisibili. Emozioni. Sentimenti. Legami che si creano dal nulla, nessuno sa bene perché, qualcuno dice sia questione di chimica, qualcun altro di destino; legami che non negano la libertà individuale, ma liberamente inducono a sentirsi di appartenere a qualcuno. Una scelta per cui non c’è altra scelta. È così e non può che essere così.
Succede raramente nella vita. Sul piano intimo, profondo, con pochissime persone, qualche volta una sola. Quella che non bussa per entrare: arriva e la senti come fosse dentro da sempre.
Una scelta per cui non c’è altra scelta. È così e non può che essere così
Quella che cammina sul filo sottile del tutto e del niente: in un momento della vita senti di essere e avere poco o niente, poi arriva lei o lui, ti si mette accanto e improvvisamente sai di essere e avere tutto. Il vuoto che come per incanto diventa pieno. Non c’è più nulla che ti manchi dentro, smetti di cercare e di chiederti cosa ti manchi. Non è chiusura rispetto al mondo: è solo coscienza che il quadro è compiuto così, forse pieno di difetti nelle singole parti, ma perfetto nell’insieme. Il pennello non serve più.
L’appartenenza è la simbiosi tendenziale che in alcuni momenti diventa compiuta, perfetta: come se si annullassero i confini individuali, come se quella unione esistesse dall’alba dei tempi, pur provenendo da grembi, educazioni, mondi diversi. La precisa certezza che al primo lieve incontro di sguardi, di pelle o di labbra, il tempo diventa relativo e tutto quello che c’è dentro e fuori è racchiuso in quel contatto, in quel sorriso, in quelle labbra: un solo bacio potrebbe durare per ore o per giorni, senza pause, senza bere né mangiare, solo frazioni di intervalli per respirare. L’appartenenza è la certezza che solo l’altra persona può saziare la tua fame, mista alla certezza che non ti sazierà mai, che non ti basterà mai, perché è quella fame che ti tiene in vita.
L’appartenenza è il cartello gigante con la scritta STOP che si alza improvviso e imperioso al momento dell’incontro giusto. Fine della eterna, faticosa, ansiosa ricerca. Sei arrivato, arresta il motore e butta via le chiavi.
L’appartenenza è il sorprendente cambio di prospettive rispetto alla parola libertà: prima era il tutto aperto, sacro e irrinunciabile, oltre il recinto, una porta di cui avere sempre in tasca le chiavi, perché tutto ciò che è oggi potrebbe non essere domani e la via di fuga deve essere sempre percorribile. Dopo invece, nell’appartenenza, la libertà è confermare ogni istante e ogni giorno la stessa scelta.
L’appartenenza segna il sangue che sgorga quando la lama del tradimento o dell’abbandono squarcia il suo velo protettivo
L’appartenenza è la certezza che niente mai potrà separarvi veramente. Anche dopo mesi, anni, lustri che vi sarete separati. Se ne infrangi le leggi non scritte, la nemesi non è indolore. L’appartenenza segna il sangue che sgorga quando la lama del tradimento o dell’abbandono squarcia il suo velo protettivo.
L’appartenenza non è democratica, né accondiscendente: sa essere una madre generosa di dolcezze e tenero accudimento, ma anche una matrigna rigida e inflessibile, pronta a presentare il suo conto carissimo.