Quel cattivo orso bianco
Annuso l’aria fredda e socchiudo gli occhi. Chi pensa che io sia l’orso cattivo delle favole, anche se bianco, se mi vedesse ora, abbandonato a pancia in su a grattare l’aria con le mie grosse zampe magari si ricrederebbe e verrebbe a giocare con me. Sbagliando.
Il sole che riflette sul ghiaccio non mi acceca, ci sono abituato. Il ghiaccio è il mio regno, ha il colore del mio pelo e di quasi tutte le creature che vivono qui, all’estremo nord del mondo. Il ghiaccio è nostro amico. Ma qualcosa sta cambiando.
Noi orsi siamo solitari per natura, e del resto non è che il grande Nord sia così affollato da darsi reciproco fastidio. È un posto difficile, solo i duri possono cavarsela, come me, appunto. Tutti mi temono, a ragione. Sono solitario, sono grande e grosso e ho sempre fame. Non è che posso mangiare ghiaccio per mantenere la mia stazza, sono un cacciatore e mi cibo di altre creature. Quasi nessuno resiste alla mia zampata feroce, o ai miei denti aguzzi. Io uccido per sopravvivere, sono in grado di attaccare anche creature più grosse di me. È così la legge, è così la vita.
Grazie a me, al mio istinto di cacciatore, sopravvivono altre creature più piccole, che mangiano il resto delle carcasse che io lascio là per loro.
C’è giustizia in questo, una forma di equilibrio. Un equilibrio che viene alterato da piccoli e pericolosi esseri viventi, estranei a questo ambiente, in grado di mettere in pericolo la sopravvivenza di tutto questo freddo e sperduto mondo di ghiaccio.
Sono gli umani.
Gli umani hanno fatto sì che io da signore dei ghiacci stia diventando l’ultimo dei superstiti. Che da cacciatore diventi preda. E non si limitano a perseguitare me. Tutti gli abitanti del ghiaccio sono in pericolo, il nostro stesso mondo lo è.
Gli umani dicono che sono un feroce predatore. Certo, come ho detto, uccido per mangiare e solo per quello. Gli umani invece uccidono per il gusto di uccidere. E non se la prendono solo con me, ma anche con le volpi bianche e perfino con i piccoli di foca.
I piccoli sono un boccone prelibato, lo ammetto, ma io non faccio certo una strage. Prendo ciò di cui ho bisogno. Come la foca mangia il pesce dell’artico e il pesce a sua volta mangia pesci più piccoli o il plancton e via di seguito nella catena della vita. L’umano invece compie delle mattanze incredibili, colora il ghiaccio di rosso con il sangue degli innocenti, indifferente alla tenerezza di quello sguardo che impietosirebbe anche me se non fossi così affamato; lui lo fa solo per rubare loro la candida pelliccia. Tantissime madri restano a piangere i loro figli e credetemi, io non ho neppure il coraggio di nutrirmi di quei poveri resti. Non è così che si fa. L’umano non uccide per nutrirsi, uccide per interesse e non gli importa delle conseguenze.
Per forza poi divento cattivo quando vedo queste cose. È una terribile ingiustizia.
L’umano invece compie delle mattanze incredibili, colora il ghiaccio di rosso con il sangue degli innocenti
Ma tanto anche io sono una preda. Come per il cucciolo di foca anche la mia pelliccia è ambita. Certo, è bella, spessa, caldissima. E bianca come la neve, se non ha preso troppo sole, nel qual caso si ingiallisce un tantino. Soprattutto però l’umano ama la sfida. Vuole semplicemente dimostrare di essere più forte di me. Peccato che non combatta ad armi pari, che non ingaggi una lotta corpo a corpo, che non usi la sua astuzia contro la mia forza. Anche la foca ha una possibilità di salvarsi quando la punto, se è abbastanza svelta e furba. Ma l’umano non vuole avere una sola possibilità, lui vuole vincere facile. E allora usa le sue armi lancia fuoco, che può usare da lontano senza rischio.
Un’altra ingiustizia, in fondo.
Chi è questo umano che lascia i suoi luoghi caldi e viene qui a portare distruzione?
Sono molto arrabbiato.
Chi è questo umano che lascia i suoi luoghi caldi e viene qui a portare distruzione? Perché non se ne sta nella sua tana e lascia a noi creature del freddo la gioia di pattinare sulle lastre di ghiaccio, di nuotare nelle acque gelide, di fare un buco nello spesso strato di neve per aspettare che il cibo venga in superficie a respirare per tentare di procurarci un lauto pasto? Che diritti vanta su di noi?
Era tutto molto meglio quando l’umano non c’era.
Lo so per sentito dire, si parla di tempi molto lontani, quando i miei antenati avevano ancora la pelliccia scura, ma ci credo. Basta vedere come si comporta, questo essere più cattivo di me.
Ci sono piccoli umani che dividono con noi l’avventura e la scommessa di sopravvivere in questo luogo non facile. Sono piccoli, pochi e rispettosi. Posso azzardare a dire che siamo quasi fratelli, conoscono i vari tipi di ghiaccio come noi e fiutano il freddo con un olfatto simile al nostro. Ma questi piccoli umani stanno sparendo, come noi, ingoiati dai loro simili più cinici e come dicono loro… più civilizzati.
Sia noi che loro stiamo perdendo pezzi, perdendo numeri.
Per quanto riguarda noi orsi, le nostre femmine faticano perfino a trovare il cibo per crescere i cuccioli.
Mi guardo intorno e ancora una volta ho la conferma alle mie sensazioni, che poi non sono così sensazioni, ma realtà.
Il ghiaccio sta scomparendo.
La crosta si assottiglia, i confini si restringono, il mare si allarga. Fa perfino più caldo, tanto che se continua così saremo noi i primi a spogliarci della pelliccia per cercare un po’ di fresco.
Tutto ciò allontana il cibo, di conseguenza aumentano la fame e la rabbia. E io divento ancora più cattivo, per l’ennesima ingiustizia. Perché lo so che pure dietro a questa sciagura del ghiaccio che si scioglie come fosse all’equatore, c’è lui, l’umano.
Non saprei spiegare come. Però c’è lui. Il mio affinato fiuto di orso lo sa, il mio grosso cuore da cacciatore lo sa.
Ora sono ritto in piedi a scrutare la banchisa. Diverse stagioni fa era spessa e sicura, ora la sento scricchiolare, ne vedo i pezzi staccarsi e perdersi fino ad aumentare il volume del mare. Questo mare sempre più vuoto di cibo, che mi costringe a giorni di camminate e nuotate prima di trovare di che riempirmi la pancia. E il mio grosso cuore di cacciatore si stringe a pensare ai figli che ho lasciato là sulla terraferma con la loro madre, che chissà se riuscirà a sfamarli, se già io faccio fatica per me solo. Sono cattivo, però so che i figli sono il futuro per questa terra, desolata solo in apparenza. Se me ne sono andato lasciandoli con la mamma è proprio per non far loro del male, per dare una possibilità di sopravvivenza in più, che già è così difficile.
Poi ci si mette anche l’umano a complicare le cose. Senza di lui questo posto era il paradiso degli orsi, delle foche, di tante creature che vivevano seguendo un rito a volte un po’ crudele, ma necessario.
Non c’è alcun senso invece nella strage delle creature, nel ghiaccio che si scioglie, nel troppo caldo dove dovrebbe esserci troppo freddo. Non può essere che sia questa la legge della vita.
Scruto l’orizzonte senza che la luce mi abbagli. Ti sto aspettando umano. So che stai arrivando. E se pensi che io sia un orso cattivo da abbattere, bè, hai ragione. Sono cattivo e arrabbiato. Con te.