Quante case abbiamo?
Appartenere è un verbo che mi riempie la bocca e crea istantaneamente legami. Si può appartenere a qualcuno? E a dei luoghi? Ci pensavo tra una chiacchiera e l’altra, parole che creavano piani e ne distruggevano altri cento. Il famoso detto recita home is where the heart is, ora bisogna solo capire se il cuore può stare in più posti sentendosi a casa in ognuno di essi. Sono storie complicate di continui cambiamenti, di rapporti che mutano, di ricordi vecchi che si sgretolano per finire nei nuovi. Casa è il quarto piano in quell’appartamento nei pressi di un panificio dove tua nonna ti accoglie brandendo una forchetta e parole di zucchero sulle labbra mentre tuo nonno ti offre le guance, consapevole del tuo vizio di pizzicarle come si fa con i bambini.
Casa è la mattonella traballante in cucina che si porta dietro uno scricchiolio familiare che ricorda quella volta in cui mio padre ha cercato di ripararla, o la carta da parati che se potesse racconterebbe del mio sguardo accigliato sui libri e degli stessi occhi che non riuscivano a chiudersi prima di un esame.
Sono case che abbiamo già costruito senza esserne consapevoli, case senza chilometri, aeroporti, tetti, né muri.
Quante case abbiamo? E a quanti posti apparteniamo? Sono posti immaginari, scorci merlettati di esperienze, voci e sapori che ci hanno sfiorato, ferito, rivoltato e segnato. Sono case che abbiamo già costruito senza esserne consapevoli, case senza chilometri, aeroporti, tetti, né muri. Case con famiglie diverse e scomposte.
Quante famiglie ha un cuore con troppe case? Oggi sono brava a far domande, un po’ meno a dar risposte.