Vivere un teatro
Un giovedì mattina come tanti altri. Mi sveglio, mi vesto, annuso la nebbia, percorro un pezzo d’Emilia e mi reco a lavoro. Niente di nuovo. Senonché dodici ore dopo sono a quasi un migliaio di chilometri di distanza, in un meraviglioso teatro, anzi no, in un recondito e comunque stupendo angolo di un meraviglioso teatro ad ascoltare il monologo di un tale che racconta la triste storia di un amore tragico. La storia è sua, mica mia, mica degli altri astanti. Eppure la sento, la sentiamo. La gola si stringe sulle ultime battute. Finisce nella commozione generale. Chi è l’attore? Lui? Noi? E poi, di vera finzione si tratta?
Un giovedì mattina come tanti altri. Senonché dopo pranzo non mi accomodo in auto e non mi reco al lavoro. No, prendo la bici e me ne vado in stazione. Parma, Bologna, Napoli centrale. Lo spettacolo, perché a vedere uno spettacolo mi dicono che devo andare, inizia alle nove. Quanto dura? Tre ore. Tre ore e mezzo al massimo. Uh, così tanto? In tre ore e mezzo tante cose si fanno. E’ il tempo di un viaggio in treno da Bologna a Napoli. Possibile che ci sia tanto da dire e da fare in un teatro?
Quando il monologo finisce, dispiace.
Un giovedì mattina come tanti altri. I miei ragazzi a scuola, “mi raccomando”, i precetti impartiti, le raccomandazioni, racconti di vita tutto sommato conosciuta. Il solito, insomma. Senonché la sera altre storie mi aspettano. C’è una Signora che dice di essere slovacca e ci porta in un furgone parcheggiato fuori dal teatro. Ci fa ridere tanto. Poi cambia registro, getta la maschera. Non sempre allegri bisogna stare. Si crea un’atmosfera familiare in quel furgone. Si parla con l’attrice, con gli altri spettatori. Quando il monologo finisce, dispiace.
Un teatro non è solo una hall, un palco e una platea. Ci sono parti del teatro che nessuno ti fa vedere. Come quel loco lassù che per raggiungerlo ci vogliono rampe e rampe di scale e ad accoglierti c’è San Gennaro e il membro, si proprio il membro, di un parroco. Anche lui ha la sua storia da raccontare. Quanti luoghi ci sono in un teatro, quante storie si possono raccontare. La platea è solamente un punto di ritrovo, ognuno si sceglie il suo attore, la sua storia. Loro vendono un pezzo di vita, si prostituiscono per questo. Sono tanti e non li puoi gustare tutti. E poi ci sono quei musicisti che ti verrebbe voglia di stare lì e ascoltare loro. Il regista. Il grande macchinatore che se ne sta qua e là e domina tutto e tutti con il suo sorriso istrionico. Ma quante cose si possono fare in un teatro?
Che ore sono? L’una. Di già? Eggià. Ma c’è ancora da ascoltare questo e quell’altro che chissà dove ci avrebbe portato, magari fuori dal teatro, magari in un bar, come quel tipo che ci ha raccontato della sua prima volta. Da attore, s’intende. Che ansia, poraccio. Ma ecco il gran finale: canzoni, comici, si danza. Si, si danza pure, tutti insieme, attori, regista, spettatori. Alla fine è una storia sola e tutti ne facciamo parte. Si chiama vita. A tratti fa ridere, altri piangere, mentre a volte c’è solamente bisogno di un po’ di sano divertimento. E in definitiva, ne vale la pena.
Un giovedì mattina come tanti altri. Un giovedì sera del tutto diverso. Quante cose si possono fare in un solo giorno. In un solo teatro. Quante cose si possono raccontare, cantare, recitare. Ascoltatele, vivetele, partecipate, ma senza giudicate. Sarà bellissimo. Come Napoli, del resto.
Tutto questo e molto di più. Al teatro Bellini c’è di scena “Dignità Autonome di Prostituzione, uno spettacolo di Luciano Melchionna, dal format di Betta Cianchini e Luciano Melchionna.”
Non perdetelo, qui tutte le info.
(photo by Luca Brunetti)