Angeli in Bicicletta – prima parte

La mia amica Agnes mi promise che avrebbe cercato di essere lì insieme a me all’arrivo del Bambin Gesù. Io la presi molto sul serio.

Avevo in testa una certa confusione, riguardo a ciò che avviene nella notte di Natale. I parenti e cugini sono attesi per la cena, i genitori si muovono con fare circospetto, e le giornate sono popolate da figure misteriose: il bambin Gesù e l’Uomo del Natale, renne girovaghe, elfi e altri esseri originali. Alla fine compaiono pacchi e pacchetti sotto il grande abete, e tutti sono ansiosi di aprirli e vedere cosa c’è dentro.

Per me la cosa più bella del Natale sono sempre state le luci; la casa piena di candele accese, di lanterne… ho adorato avvolgermi nella loro atmosfera, col buio della stanza intorno. La cosa più vera del Natale, insieme ai profumi del cibo e al riempirsi della casa di gente, di voci.

Tutto questo mi piaceva assai più dell’aprire i misteriosi pacchi, quando ero bambino; inoltre non riuscivo proprio a capire chi e come li avesse portati. 

La mia amica Agnes, per essere così piccola, sapeva molte cose. Soprattutto, quella ragazzina, aveva qualcosa di originale: a volte sembrava più grande di me, a volte molto piccola. In qualche occasione  mi veniva di proteggerla, accarezzandole la testa con le mani leggere come faceva con me mio padre quando mi prendevo dalla mamma i rimbrotti per le marachelle. Altre volte Agnes mi faceva rabbia, mi sembrava troppo sicura di sé.

Fu proprio lei a farmi notare quanto fosse improbabile che il Bambin Gesù portasse i doni: dopo averli persino incartati con tanto di fiocco, questo neonato doveva venire a porli in ogni casa, sotto l’abete.

“Caso mai l’ uomo di Natale, o papà Natale come dicono alcuni, può darsi che lui si incarichi dei doni, ma il Bambin Gesù certo no”

“Perché ne sei così sicura” le avevo chiesto io.

“Innanzi tutto è così piccolo, poi è povero da morire: a lui sì portarono i doni, sai chi? Quei Re ricchi che andarono ad omaggiarlo perché era povero e figlio del Cielo“

“Cosa vuol dire è figlio del cielo Agnes?“

Avevo appena sei anni, e certe dichiarazioni mi lasciavano perplesso.

“Queste cose le insegnano a scuola” disse Agnes.

Noi a scuola saremmo andati solo l’anno dopo.

“A me però le racconta mia zia”.

“Chi, tua zia Sophie? Che vuoi che ne sappia lei di queste cose. Va sempre in giro, non ha nemmeno figli tua zia Sophie!“

“Ti sbagli Max, zia Sophie sa un sacco di fatti; e poi conosce persone molto informate..“

“Ma quali persone informate, lei ha tutti quegli amici strani, dice mia madre, non sembrano persone informate…“

“E’ un segreto e non so se posso dirtelo” ribatté Agnes.

“La zia me lo ha raccontato una sera che stavo male. Comunque, se prometti di non dirlo a nessuno, zia Sophie conosce gli Angeli in bicicletta.“

“Angeli in bicicletta? …“

La notte di Natale sarebbe presto arrivata. Come sempre in questa stagione, da noi al nord fa molto freddo.

La città fuma di vino caldo e salsicce, le baracchine vendono presepi e decorazioni per l’albero. I cori cantano il Natale che arriva, sulla piazza principale della città tutta illuminata di lampioni, lanterne, fiaccole… E tutti aspettano questo Bambin Gesù. Ma perché poi, dico io. Per quei pacchi che dovrebbe portare? Ma se ce li possiamo anche comprare nei negozi, che bisogno c’è di far perdere tutto quel tempo a un piccoletto appena nato?

Agnes aveva certo ragione, la cosa pareva assurda.

I miei genitori in quei giorni erano soliti uscire spesso per procurare cibi tipici, fiori e decorazioni: passavano a ritirare dai fornitori le provviste di sidro di cotogna e di vino dolce di Creta con l’auto nuova del papà, alcuni dolci decorati che mia madre commissionava al pasticcere, e un salmone di grandi dimensioni che sarebbe stato cotto nella stufa per la cena di vigilia. Poi si recavano ai magazzini Stockmann cercando di accontentare un piccolo desiderio gastronomico per ciascuno dei partecipanti al nostro banchetto; per la zia facevano in modo di avere la mostarda di fichi d’india, che lei tanto amava, e per mia sorella una certa marca di Foie Gras che lei aveva avuto modo di assaggiare dalla sua amica Nicola. Questa aveva trascorso alcuni anni a Parigi con la famiglia, e ancora si vantava di sapere che quel certo Foie Gras fosse il migliore del mondo!

Intanto a casa la cuoca gestiva il suo laboratorio di preparazione dei pasticcini che poi avremmo consumato e offerto agli ospiti. Era una vera e propria piccola officina di Natale. In giro per la cucina trovavi stampini, formine, glasse, cioccolata fusa, confettura, canditi, zuccherini, mandorle, noci, vaniglia, chiodi di garofano, rosolio, scorze di agrumi, cannella e altri ingredienti vari, oltre a impasti di diversa natura e consistenza ognuno bisognoso di un certo tempo di attesa prima di essere lavorato. Tutta la casa profumava come un grande confetto, di dolce e di buono. Il profumo si spandeva ovunque e raggiungeva persino la soffitta.

Questa era il regno di mia sorella. Lei vi passava molto tempo, scavando nei bauli tra i vecchi abiti eleganti e ingialliti che erano l’eredità di nonna Gertrude. Si preparava per indossarli alla cena di Vigilia e a fare la sciantosa umiliando le cugine, che arrivavano dalla provincia in treno con i loro vestiti pratici e semplici da viaggio.

Noi bambini in quei giorni giocavamo spesso fuori con lo slittino, oppure a colpirci con le palle di neve. Qualche volta ci litigavamo per cose stupide e finivamo per prenderci a botte rotolando giù per i pendii innevati. Un giorno nel bel mezzo di una lunga lotta arrivò Agnes, e si avvicino’ al groviglio dei nostri corpi ormai simili a pupazzi di neve, coperti di ghiaccio e semi-ibernati: riconobbe un pezzo del mio braccio e lo tirò forte come per sciogliermi da quel nodo umano.

“Esci da qua, devo parlarti, esci da qua, buon’ a nulla!“

La lotta improvvisamente si fermò. Mi alzai, scuotendomi un poco e raggiunsi Agnes mentre gli amici si prendevano gioco di me.

Quando Agnes mi chiamava, qualcosa in me le rispondeva immediatamente, come se la temessi. Mi trovavo come un rammollito ad eseguire i suoi ordini.

Mi avvicinai a lei con gli occhi bassi, e lei mi portò lontano tirandomi per la giacca.

“Se ti comporti così, non credo che verrò da te la notte di Natale! Tanto non vedrai niente…” apostrofò Agnes.

“Cosa vuoi dire? L’avevi promesso… che cosa dovrei o non dovrei vedere?” chiesi scocciato.

“Cambia tono con me, o non verrò e non vedrai niente”.  Agnes aveva uno sguardo severo che la faceva sembrare molto grande.

“Ma cosa dovrei vedere poi?”, chiesi ancora io.

“Non ti ricordi niente, vedi, sei uno sciocco. Io ti affido un segreto e tu non te ne ricordi più nemmeno; devi vedere gli Angeli in Bicicletta!“

“Ma… io credevo che tu venissi per il Bambin Gesù, per farmi vedere il Bambin Gesù!“

“Ti ho già detto che il Bambin Gesù non porta i pacchi di Natale, vuoi credermi?“

“E allora perché tutti lo aspettano? Cosa fa questo Bambin Gesù?“

“Beh, dovrai capirlo da solo, oppure te lo spiegheranno gli Angeli in Bicicletta, se sarai capace di vederli. Intanto smetti di picchiarti per delle idiozie con quei bambocci dei tuoi amici, e allora io verrò a casa tua la notte di Natale….” disse Agnes allontanandosi già.

Il mio viso paonazzo dal freddo bruciava.

Intanto gli amici erano rotolati fino ai piedi del pendio: si scuotevano di dosso la neve, si gettavano guanti e cappelli ghiacciati in faccia per farsi dispetto. Li lasciai là, allontanandomi in direzione di casa.

La sera nel letto pensai a ciò che mi aveva detto Agnes. La notte di Natale era tra due notti soltanto.

Mi girai sotto le piume del coltrone, e mi girai ancora. Sì, certo che mi ricordavo la storia degli Angeli in Bicicletta, quella che Agnes aveva sentito da zia Sophie. Sophie gliel’aveva raccontata in quei giorni in cui lei aveva la febbre e i pippoli sulla pancia e sulla faccia. La zia era rimasta a farle compagnia perché avendo già avuto la malattia non aveva paura del contagio: quella mattarella  sapeva raccontare davvero belle storie,  questo sì. Io però mi ero fatto l’opinione che la febbre e i pippoli avessero avuto la loro parte, e che Agnes avesse elaborato un po’ la storia facendola diventare più fantastica di quello che già era. Anche io quando avevo la febbre alta, da bambino, tendevo a mischiare realtà e fantasia. Una volta per esempio, vidi il materasso diventare un tappeto volante: sopra c’ero io insieme al famoso Aladino, quello della lampada. Guidavo il tappeto come se fosse stato un dirigibile e andavo in giro scendendo dove volevo: dal pasticcere, al negozio di giocattoli, dall’uomo degli aquiloni e da quello della giostra, che mi permettevano tutto quello che desideravo, senza chiedermi una lira. Aladino legava il tappeto a qualche lampione o albero, e aspettava che io ritornassi, per ripartire.