L’importante è partecipare
L’ inizio del campionato era stato buono. In casa sempre vittorie, fuori casa due pareggi e due sconfitte. Ma fuori casa si era vista la debolezza della difesa, per non parlare della confusione mentale delle due punte. Poi era arrivato il dramma. Due sconfitte fuori casa e una in casa. Il presidente padrone aveva cominciato a sbraitare e soprattutto a rimpiangere i soldi investiti: gli imprenditori sono spesso insopportabili, ma i piccoli sono terribili, sempre presi dall’ansia del ritorno economico, dell’affare, sempre a ragionare dei maledetti soldi, metro universale e fonte di ogni giudizio e pregiudizio. Specialmente in presenza in una spesa per immagine e prestigio. Il rischio non era solo per la squadra ma anche per lui, Marco Sillani, giovane allenatore che voleva crescere e passare presto di categoria, che aveva ricevuto all’inizio la fiducia e l’entusiasmo della proprietà visti i risultati ottenuti con la squadra precedente.
Decise di parlare ai ragazzi. Si era sorbito tutti i film di sport (pallacanestro, baseball, football, hockey e anche boxe) della cinematografia americana e in ognuno c’era sempre un pistolotto energetico dell’allenatore per infiammare gli spiriti depressi nei momenti difficili. E dopo il discorso tutti davano il meglio di sé. Magari funzionava così anche nella realtà. Decise perciò di tentare la carta cinematografica, un po’ prima dell’allenamento, quando i ragazzi erano ancora nello spogliatoio: anche la puzza e l’umido possono avere un effetto positivo, creando un po’ di ambiente, un luogo di virilità ritrovata. Parole grosse… Erano lì tutti, qualcuno già pronto, altri in mutande, altri stavano ancora aprendo la sacca.
“Un attimo di attenzione, ragazzi” e il chiasso da spogliatoio si placò. Tutti avevano già intuito che era in arrivo una predica, la temevano ma sapevano di meritarla. Già alcune teste si chinavano in attesa del colpo, ovviamente solo psicologico.
“Sono state tre settimane tremende. E non possiamo continuare così: per la squadra, per la proprietà, per i tifosi e soprattutto per voi stessi”. Prese un po’ fiato, anche per accentuare l’attesa, poi proseguì: “Ormai sono due anni che sono con voi e abbiamo dato tante soddisfazioni alla proprietà e ai tifosi. La squadra è buona, specie sul piano tecnico. Anzi sono convinto che siate i migliori di questo campionato, sia singolarmente che come team” (le parole in inglese ci stanno bene). “E allora che cosa vi manca? Non la tecnica, non l’allenamento, non l’affiatamento. Vi manca la rabbia, la cattiveria, il cinismo, la durezza: tutte qualità che avete dentro di voi, ma che non avete espresso, se non un po’ all’inizio del campionato e i risultati si vedevano. Dovete pensare di poter schiacciare il vostro avversario, che lo potete fare a pezzi già con la sola volontà. E quando si vince non ci si deve accontentare. Il leone usa tutta la sua forza anche contro un coniglio, lo diceva Sun Tsu” (ma chi diavolo era?). “E così dovete fare voi. Bisogna schiacciare l’avversario, farne poltiglia. La vittoria non è una opzione, è l’unico obiettivo spietato. Non c’è pietà, altrimenti facciamo dello sport amatoriale. Mi raccomando cattivi e spietati, dopodomani davanti al vostro pubblico”.
Finì nel silenzio generale, e andò in ufficio in attesa che tutti fossero pronti sul campo. Piedi sulla scrivania e giornale in mano. Scorreva titoli: Iraq, Afganistan, Sudan, Filippine. Fu preso quasi da uno sgomento e posò il giornale per avviarsi al campetto. “Ma come si farà con tanta violenza e insensibilità nel mondo?” si chiese.