Ceci n’est pas… – Del perché amiamo Magritte
Ceci n’est pas…
Quale frase, se non questa, suonerebbe meglio per poter descrivere Magritte? Quale frase, se non questa, potrebbe davvero descriverlo nella sua completezza?
Una volta che si incontrano i lavori di Magritte è impossibile toglierseli dalla testa. Magritte, a differenza degli altri surrealisti che – facendo un discorso molto generico – tendono a dare rappresentazioni più astratte, è maggiormente diretto. Come un chiodo piantato dritto nella testa. Da una parte il suo lavoro può essere considerato profondamente complesso ma, dall’altra parte, è l’opposto: che cosa fa se non prendere delle immagini comuni e associarle in modo sorprendente? La magia sta qui. La magia sta nel rappresentare giorno e notte contemporaneamente (L’impero delle luci, 1953). La magia sta nel rappresentare scarpe che sono allo stesso tempo piedi e piedi che sono scarpe (Il modello rosso, 1937).
La magia sta nell’essere ancora vivo. Nell’essere ancora attuale. Nonostante tutto.
Oggi è difficile, ad esempio, immaginare un sacco di programmi utilizzati per il fotoritocco senza pensare all’apporto e all’influenza di Magritte. Dobbiamo a lui, ad esempio, molti modi attraverso i quali vediamo il mondo con trasparenze o gradazioni: ci ha mostrato come le immagini possano venire sovrapposte o come possano sfumare l’una dentro l’altra. Le sue immagini non sono mai deformi o distorte ma riescono, nella loro semplice e autentica realtà, a farci schiantare al suolo. Magritte (ma anche Dalì, non vogliamo fare torto a nessuno) è stato uno degli artisti più influenti in ambito pubblicitario tanto che nemmeno ce ne accorgiamo. Non lo vediamo più. Il logo della CBS, ad esempio, quell’occhio stilizzato, non è altro che lo stesso occhio che ritroviamo nell’opera Il falso specchio, del 1928. Qualche annetto prima.
La magia sta nell’essere ancora vivo.
La sua abilità consiste nel decontestualizzare gli oggetti quotidiani – dagli occhi, ai pettini al pane – e obbligarli a dialogare tra di loro senza soluzione di continuità. Magritte non vuole raccontare una storia. Le situazioni che crea sono perfettamente normali e non interessa sapere cosa è successo prima o cosa succederà dopo. Il tempo sembra essere immobile e scorrere e tutto questo rende la sua arte molto serena e poco inquieta.
Magritte riesce in ciò che Shakesperare riuscì a fare con la letteratura: ci butta in un continuo gioco all’interno del quale si sopravvive solo facendo ipotesi; un mondo di domande per arrivare alla verità, un mondo dove l’opposto è sempre vero.