Un matto
Un matto. Ci potrebbero essere tre ragioni per cui avete cliccato su questo titolo e state iniziando a leggere il pezzo.
1. Vi piace De André e avevate voglia di riascoltare la canzone, che subito avete associato senza che fosse esplicito nel titolo il
Possiamo essere pazzi o fingere di essere normali, ma, per nostra fortuna, niente e nessuno ci toglierà mai quel sostrato di follia che galleggia nelle nelle nostre anime.
2. Seguite sempre questa rubrica (oh grazie, grazie, grazie, davvero il mio ego si sta gonfiando meglio che una torta con doppia dose di lievito Bertolini).
3. Siete matti e sperate di trovare una traccia di comprensione empatica nell’articolo.
3. Vi ritenete assolutamente normali e la follia vi fa talmente paura da attirarvi come si cercano tra loro gli animali in calore.
Anche se non sono un genio della matematica (ogni scrittore, anche lo fosse, non lo ammetterebbe mai, figuriamoci io che sono una narcisista anascientifica), non ho sbagliato a elencare. Le ultime due motivazioni sono i lati della stessa medaglia.
Visto che ho il sospettino che rientriate tutti nella terza categoria – e di conseguenza non abbiate bene in mente la canzone di De André e siate giunti spinti dalla parola matto, quasi steste vagheggiando un pozzo di acqua o una damigiana di coca cola nel deserto – vi trascrivo il testo del brano.
Tu prova ad avere un mondo nel cuore
e non riesci ad esprimerlo con le parole,
e la luce del giorno si divide la piazza
tra un villaggio che ride e te, lo scemo, che passa,
e neppure la notte ti lascia da solo:
gli altri sognan se stessi e tu sogni di loroE sì, anche tu andresti a cercare
le parole sicure per farti ascoltare:
per stupire mezz’ora basta un libro di storia,
io cercai di imparare la Treccani a memoria,
e dopo maiale, Majakowsky, malfatto,
continuarono gli altri fino a leggermi matto.E senza sapere a chi dovessi la vita
in un manicomio io l’ho restituita:
qui sulla collina dormo malvolentieri
eppure c’è luce ormai nei miei pensieri,
qui nella penombra ora invento parole
ma rimpiango una luce, la luce del sole.Le mie ossa regalano ancora alla vita:
le regalano ancora erba fiorita.
Ma la vita è rimasta nelle voci in sordina
di chi ha perso lo scemo e lo piange in collina;
di chi ancora bisbiglia con la stessa ironia
“Una morte pietosa lo strappò alla pazzia”.
Sì, De André ci va giù un po’ pesante con le canzoni. Diciamo che è meglio non ascoltarle se avete appena ricevuto un due di picche o finito il vasetto di nutella. Ma poi ci si può consolare: matti lo siamo tutti. Ognuno a suo modo. Perché il matto è il diverso, ma avete mai conosciuto due esseri umani identici? Semmai possiamo dire che il mondo è pieno di conformisti, infatti non ho esitato a unire le ultime due definizioni. Possiamo essere pazzi o fingere di essere normali, ma, per nostra fortuna, niente e nessuno ci toglierà mai quel sostrato di follia che galleggia nelle nostre anime. Avete presente le goccioline di olio nell’acqua del minestrone? Ecco, è lei: la pazzia. Quella che dà sapore alla vita, che lubrifica i percorsi, li intreccia per far sì che non siano tutti dritti e non si scontrino ma s’incontrino.
C’è – e questo lo concedo alla categoria dei normali mascherati – un’asticella che separa la follia fisiologica da quella patologica e consiste solo in una maggiore o minore propensione al con-vivere.