Assenze di Natale
Durante i giorni di festa quello che più avverti sono le assenze, non le presenze, a volte anche indesiderate. Tra il luccichio delle luminarie e i profumi del Natale quello che cerchi sono quei volti familiari, quelle carezze di mani rugose, quei sorrisi sinceri che anche se sformati dalla malattia si sforzavano di farti stare tranquillo.
Questo era esattamente quello che provava Francesco mentre passeggiava per perdere tempo tra i vicoli di ciottoli che si attorcigliavano lungo la collina sulla quale era abbarbicato il suo paese. Era stato lì fin dalla nascita, ma sognava una vita fuori da quel piccolo lembo di terra con una manciata di case sperduto tra i pascoli e le rocce bianche di calcare. Solo durante l’estate i turisti passeggiavano ammirando i maestosi murales di protesta contro uno Stato assente, colonizzatore e sfruttatore. Camminavano sorprendendosi a ogni angolo e scattavano foto tutto il giorno. Poi, alla sera, cercavano un pastore accondiscendente o un agriturismo a buon mercato dove sprofondare le papille nel gusto della tradizione locale fatta di carne e pane, pasta fatta in casa e dolci dalle forme elaborate.
Francesco non aveva nulla contro i suoi compaesani, ma non sentiva nemmeno di avere radici tanto profonde da non poter tentare un travaso altrove. Ora non aveva più nessuno, ora che anche l’ultimo legame si stava spezzando, cosa avrebbe dovuto fare? Vivere seppellito tra i ricordi o cercare di rifarsi una vita, la sua. Amava la sua terra, ma senza i suoi affetti perdeva buona parte di quella consistenza quasi lattiginosa che ti culla come un feto nella placenta. Era sera. Tra le vie ormai buie colava una sottile nebbia, L’odore delle castagne misto a quello della legna si sarebbe sparso nell’aria dai comignoli delle basse casette.
Aprì la porta e Lucia era lì, pallida, con le palpebre socchiuse e un bagaglio di rughe raddoppiato in pochi mesi di sofferenza. Era stata una bella donna, contesa da molti in paese. La lunga chioma nera si era presto colorata di una striscia grigia proprio in mezzo alla fronte e tutti le dicevano che si assomigliava a Maria Carta, la cantante scomparsa anni fa per colpa dello stesso mostro che ora stava divorando lei. I grandi occhi neri brillavano di una luce intensa il giorno che strinse a sé per la prima volta quel fagottino rosa che aveva chiamato Francesco. Allora Graziano era ancora vivo ed erano stati per pochi anni una vera famiglia. Nulla più era rimasto di quella grazia e di quella bellezza nel suo volto. Da settimane aveva sempre la stessa smorfia sofferente e si cingeva il ventre con le mani. La pelle scura era diventata di un giallo verde irreale.
Francesco si avvicino alla donna e le accarezzò la mano. Sapeva che di lì a poco non ci sarebbe più stato nulla da accarezzare. Sarebbe successo quel fottuto miracolo di Natale? No. Non sarebbe successo niente. Niente di buono. La neve sarebbe caduta, come tutti gli anni, o forse un po’ meno. L’odore delle castagne misto a quello della legna si sarebbe sparso nell’aria dai comignoli delle basse casette. Le vecchiette vestite di nero di lutti stratificati sarebbero scese verso la piccola chiesa per la messa di mezza notte, ma lui sarebbe stato già solo, questa volta veramente. Avrebbe sentito violenta e aspra la presenza delle assenze, di quel suo nonno che gli aveva fatto quasi da padre e che aveva il viso come il vassoio di sughero dove mettevano il porcetto arrosto la notte della vigilia. O lo sguardo morbido e paludoso di sua nonna che gli regalava ogni anno cinquanta mila lire e tre mandarini profumati. Ma soprattutto non ci sarebbe stata lei. Lei. Lei col suo profumo di ammorbidente e biancheria stesa al sole, lei con i lunghi capelli divenuti d’argento, lei con i seni generosi dove anche da adulto trovava un riparo tra abbracci di conforto.
Lucia chiuse gli occhi e tirò le labbra verso un lato. La mano si scostò da quella del figlio. La fiamma nel caminetto danzava morente. Era giunto il momento delle lacrime. Era giunto il momento di fare i conti con le assenze di Natale.