Rosy m’ha scopato nel cesso. Gianni Breil, sentirete odore di piscio
Dleng. Dleng dleng dleng dleeeng. Alla chitarra ci mancano le corde. Se le prendono loro, insieme alla cintura e ai caricabatterie. Hanno paura che c’accirimm.
Che ci uccidiamo. E quindi dleng, dleng dleng, in una onomatopea orale che è solo preludio di un viaggio senza preservativo – è il caso di dirlo – nel degrado sessuale, del corpo, e della mente. Un viaggio che non risparmierà nessuna delle figure retoriche del triviale, e non solo le più frequentate: non il turpiloquio, non l’imprecazione, non la violenza verbale, non quella fisica.
Un viaggio che farà frequentare luoghi ostili, nel corso del quale si sentiranno gli odori acri di fard e mutande dei cessi dei locali notturni dove si consumano stupri tra pervertiti e dove cazzi e culi la fanno da padrone, o il tanfo di chiuso delle gabbie buie degli ospedali psichiatrici, dove a consumarsi sono invece le menti dei pazienti.
Così in Gianni Breil di Pietro Tammaro (adattamento di Alberto Mele, per la regia di Pino Carbone), andato in scena al Teatro di Contrabbando di Napoli, per chi abbia voglia d’assistervi e desiderio d’andarvi oltre. Perché in esso tutte le istanze del volgare non sono fini a se stesse, e sperma e piscio sono articolati e coordinati per fornire spunto alla meno banale tematica della verità, nel suo significato più intimo di costruzione sociale del senso.
si sentiranno gli odori acri di fard e mutande dei cessi dei locali notturni dove si consumano stupri tra pervertiti
Un’opera che fa del grottesco la sua cifra, molto meno superficiale di quanto superficialmente non sembri, e che porta con sé anche il merito non indifferente di scoprire impietosamente il velo sul sottobosco artistico da quarta categoria che popola le vite notturne metropolitane, tra impresari levantini e sedicenti starlette, con tutto il loro contorno di ricatti e sfruttamenti, perversioni invidie gelosie e infimitudini e bassezze morali, tipiche peraltro di ogni sottobosco. Fogne a cielo aperto dispensatrici di sogni di plastica, che anche se si ignorano eppure esistono, ed è bene odorare, pur da lontano. Un viaggio tra omosessualità e devianza mentale, alla ricerca del gusto sottile della verità.
Appena se ne presenti l’occasione, coglietela per farci un salto.
Abbiamo visto Gianni Breil di Pietro Tammaro
adattamento di Alberto Mele, per la regia di Pino Carbone
a Napoli, Teatro di Contrabbando