Il parco divertimenti
C’erano tante luci, da lassù. Anche di giorno, sembrava un immenso e incantato paese dei balocchi. Tra tutte quelle luci, tuttavia, Nicola cercava e guardava dall’alto soprattutto lei, Giulia. Da quella seduta così grande per un bambino come lui. In aria, come proteso verso le nuvole. Eppure non aveva paura. Non sapeva come era finito lì, era un posto così strano. Un parco divertimenti, così lo sentiva chiamare da altri bambini. C’erano un sacco di attrazioni, giochi, colori, persone, bimbi allegri, alcuni mangiavano zucchero filato, quella specie di nuvola bianca e dolce che gli era sempre piaciuta, da guardare, annusare e poi mangiare.
Tutti sorridevano, tutti si divertivano. E lui si sentiva fuori posto. Senza paura, ma fuori posto. Forse lo avevano abbandonato, non ricordava niente, ogni tanto arrivava qualche signora gentile che lo teneva stretto al petto e lo faceva sentire protetto. In quel caldo e morbido contatto con la parte più materna di una donna (lui era troppo piccolo per apprezzare altri aspetti) ritrovava sensazioni antiche, ataviche, come di qualcosa che era negli abissi del suo cuore, ma a cui non sapeva dare un nome e un volto precisi.
Comunque, malgrado quella strana sensazione vagamente amara, si divertiva da matti. La giostra saliva a velocità folle e poi scendeva in picchiata in modo ancora più folle e a lui saltava il cuore in gola. Sembrava rallentare e poi riaccelerava d’improvviso, disegnando curve e traiettorie impossibili.
Tutti sorridevano, tutti si divertivano. E lui si sentiva fuori posto
Ogni tanto la giostra si fermava, Nicola apriva gli occhi e si accorgeva di essere in aria, in posizione capovolta. E allora sì, gli veniva ansia. Cercava qualcuno che potesse confortarlo, non trovava nessuna signora affettuosa, veniva preso da sconforto e terrore. Un attimo prima era euforico ed eccitatissimo, ora terrorizzato e triste. Si sentiva un bambino solo al mondo e sospeso nel vuoto. Finché la corsa folle riprendeva e non aveva più tempo di pensare a niente. L’adrenalina ricominciava a fluire abbondante nelle sue vene. Non aveva un minuto uguale al precedente, era tutto così forzatamente eccitante che a tratti avrebbe pregato per annoiarsi un po’. Per avere un momento di stabilità.
E poi guardava Giulia, laggiù. Era l’unico contatto con la terra ferma e l’unico che in fondo avrebbe voluto davvero approfondire. L’unico per il quale forse valeva la pena di scendere da quella strana altalena eccitante e da paura.
Lei camminava piano, costante. Mai una deviazione, mai un’impennata. Anche lei sembrava fuori posto, in quel luogo dove tutti correvano, ridevano, si divertivano. Dall’alto Nicola non poteva vederla bene, aveva solo delle sensazioni: gli sembrava tranquilla, con un’aria vagamente malinconica. Era una bambina bellissima, a cui pareva non importasse nulla del mondo intorno. Tutti quei rumori, tutti quei giochi, tutta quella gente: lei faceva sempre il suo percorso e con lo sguardo non cercava niente. Sorrideva, o almeno così sembrava a Nicola dalla sua giostra impazzita. Aveva un adulto vicino, ma non gli dava la mano, non lo guardava: lui pensò che forse era il papà, o lo zio, o il fratello maggiore. Non era felice. Non la conosceva, ma sapeva riconoscere a distanza con assoluta certezza una bambina non felice.
D’un tratto, Giulia alzò il viso e lo guardò. Nicola fu certo che stesse guardando proprio lui e che gli stesse sorridendo. Sentì il cuore invaso da una inspiegabile gioia. La giostra in fondo era divertente, era diventata una specie di casa, ma lui doveva conoscere quella bambina. Aspettò che finisse l’ennesima corsa. Tutti scendevano e altri salivano, tranne lui. A lui nessuno diceva mai basta, è ora di andare. Saltò giù da solo. Gli fece impressione toccare terra, dopo tutto quel tempo sospeso in aria. Fu quasi disorientato, per un attimo ebbe paura di perdere l’equilibrio e cadere. Equilibrio? Che buffo, come si fa ad aver paura di perdere qualcosa che non si possiede? La cosa che gli importava davvero era la figura che avrebbe fatto di fronte a quella bambina. No, non poteva cadere, equilibrio o non equilibrio.
pensò che in quegli occhi, dal verde tenue e profondo, si sarebbe voluto perdere e si sarebbe perso
Lei intanto procedeva con la solita andatura costante e piatta.
Lui ci andò.
Lei aveva degli occhi che toglievano il fiato, lui rimase senza fiato. E pensò che in quegli occhi, dal verde tenue e profondo, si sarebbe voluto perdere e si sarebbe perso.
– Ciao, mi chiamo Nicola, vuoi fare amicizia? Come ti chiami?
– Io sono Giulia. Si, voglio fare amicizia con te. Ti guardavo da un po’, sai?
– A me sembrava che tu facessi sempre il tuo percorso, senza guardare niente.
– Mi stavo annoiando. E tu invece parevi divertirti tanto, lassù…
– Io veramente… sì, mi divertivo, ma stare sempre sulla giostra impazzita è sfiancante, sai? Vorrei farti compagnia nel tuo cammino in pianura, stabile, tranquillo. Posso stare con te?
– Ok. Solo se tu ogni tanto mi porti con te lassù…
– Certo, ti ci porto.
– Affare fatto. Ci divertiremo un mondo così, vedrai
– Io non voglio più divertirmi, mi sono già divertito da non poterne più.
– E cosa vuoi allora?
– Adesso voglio essere felice.
– Vieni con me, andiamo a comprare lo zucchero filato.