L’ ironia delle note stonate
Sono nella cucina dell’ufficio e ridono tutti. Sento l’ironia nell’aria, percepisco una battuta di spirito, ma non ho tutti gli elementi per decifrarla. L’ironia è l’ultima cosa che facciamo nostra in un’altra lingua. Si districa a livelli più profondi che coinvolgono non solo suoni ed espressioni idiomatiche, ma anni di storie condivise e passate di bocca in bocca, cultura popolare impacchettata e smistata durante i pranzi in famiglia.
Sorrido per cortesia, per non sentirmi totalmente stonata e penso a quante cose sono intraducibili.
Proprio io che studio lingue, io che vorrei che tutto il mondo si capisse e si scambiasse pezzetti di patrimonio mi scontro con lo scoglio dell’intraducibilità. Puoi star lì a tradurre, a rendere il senso, e nel frattempo tutti hanno smesso di ridere e a te non va più di sforzarti. O semplicemente una volta tradotto lo scherzo perde forma, evapora e si dissolve in una sorta di sublimazione quasi naturale.
C’è un tempo per sentirsi fuori dall’armonia del coro e un tempo per abbracciarne l’uniformità.
C’è un detto che dice che c’è un tempo per essere incudine ed un altro per essere martello, ed io l’ho tradotto più o meno con la storia delle note. C’è un tempo per sentirsi fuori dall’armonia del coro e un tempo per abbracciarne l’uniformità. Sentirsi un po’ fuori, nella terra di nessuno non può durare per sempre. E mentre cerco i mezzi per spiare e fare mie le battute di una lingua diversa penso ai vantaggi della terra di mezzo. Adattare ciò che non capisco a ciò che mi è familiare creando un piacevole cocktail dal gusto cosmopolita. Forse è questo che implica ogni crescita, l’impulso coraggioso di creare con la consapevolezza che sbagliare è salutare, utile e necessario.
Forse crescere significa non imporsi i tempi degli altri, le risate sconosciute, la paura di non capire. Non voler passare subito alla fine del film.
Inspira, espira. Intervallo del primo tempo.