Mai guardare un poliziesco in streaming
Capita sempre così. Mentre stai guardando un film in streaming, possibilmente un poliziesco, a dieci minuti dalla fine la connessione internet decide di non funzionare più.
Esistono varie alternative. Dopo aver snocciolato tutta una sfilza di parolacce e maledizioni conosciute, si può spegnere il router e riavviare tutto; si può accendere un cero votivo; si può prendere a calci il tavolo avendo cura di beccare lo spigolo con mignolo. Così almeno le parolacce sono giustificate da una causa più nobile.
Dopo aver esperito tutte le alternative, qualora non si dovesse ripristinare alcuna connessione, si può iniziare a disperarsi.
Nel mio caso la disperazione è determinata dal fatto che, in caso di assenza totale di rete, devo chiamare Krishna. Krishna, badate bene, è il tecnico della compagnia telefonica e, considerato tutto, dubito che sia un discendente della più famosa divinità.
Il mio rapporto con Krishna è iniziato qualche mese fa quando, dopo il burrascoso trasloco di cui ho più volte parlato, mi sono trovata a dover fare il passaggio di numero telefonico e di linea internet.
Si perché bisogna chiamare la compagnia telefonica e parlare con qualcuno che però non parlerà inglese e quindi si genererà una certa agitazione che, in un climax di “Parli inglese?” “Posso parlare con qualcuno che parla inglese?” “Posso parlare con qualcuno?”, sfocerà in un’incazzatura solenne.
E così non si risolverà nulla e bisognerà tentare il giorno dopo. E quello successivo ancora. E via di seguito fino a quando, non si sa come, si riesce a comunicare l’indirizzo di casa e ci si metterà in trepidante attesa del tecnico. Tecnico che potrebbe arrivare il giorno stesso ma anche una settimana dopo. E visto che farsi sfuggire il suo arrivo potrebbe comportare lo slittamento dell’allaccio di internet a data imprecisata, nel frattempo ci si chiude in casa. E si aspetta. Al quinto giorno di reclusione, oltre a parlare col gatto, avevo iniziato un procedimento di eliminazione manuale di tutte le doppie punte. Una per una. Al sesto giorno si presenta lui. Krishna. E’ magro, spettinato, sembra che sia stato versato dentro dei vestiti decisamente troppo lunghi per lui tanto che le mani fanno fatica a uscire dalle maniche della camicia. Va da sé che l’unica cosa che sa dire in inglese è “Hello”, alternato a “Sorry” che però è pronunciato all’indiana, quindi “Sory”. Ci parliamo a gesti che è una cosa che riesce sempre molto bene in tutte le parti del mondo. Mi sento tranquilla. L’uomo sembrerebbe avere pieno controllo della situazione anche se, per motivi che ancora mi sono oscuri, si è tolto scarpe e calzini. Mentre lavora rassetto un po’ casa, giusto per darmi un tono. Dopo un’ora mi chiedo se abbia finito. Torno in salone e lo trovo in uno stato di disperazione. Chiedo cosa succede. “Sooory soooory!” dice. Poi in una lingua che non si può trascrivere in quanto non esistente, mi fa capire che il nuovo modem non funziona. “Ma scusa lo hai portato tu…” faccio notare “Sory.” risponde. “Ma lo hai collegato?” “No”.
Lo guardo di sottecchi poi, vedendo che la sua tristezza era genuina, collego il modem alla presa elettrica. Si accende, così come la gioia negli occhi di Krishna. Ora però viene il dramma vero. Perché bisogna configurare il pc affinché riconosca la connessione e bisogna inserire una password. Krishna ha una cartellina piena di fogli tutti scritti in hindi. Per molti potrebbe essere il normale contenuto della cartellina di un tecnico della principale compagnia telefonica indiana. Per me era un indizio inconfutabile, una sorta di punta dell’iceberg, del dramma che si sarebbe consumato.
Krishna infatti non aveva la più pallida idea di cosa dovesse fare.
Fa un’altra telefonata. Parla con uno che vuole parlare con me. Morale della favola, inizio a inserire dei codici su una schermata che è tutta composta da numeri. Krishna è seduto a terra, con gli occhi chiusi. Ormai siamo amici e, in quanto mio fraterno amico, gli allungherei un calcio negli stinchi. La connessione internet parte e io non so bene a chi essere grata. Decido di essere grata a me stessa. Krishna mi dice che è stanco, la giornata lo ha molto provato. Poi mi lascia il suo telefono, tante volte avessi problemi con internet. “Ciao Krishna. Vedi d’annattene”. dico sorridendo. “Annattene” risponde sorridendo. E così se ne annamo tutti e due.
I mesi passano e internet funziona bene. Metto Krishna nel dimenticatoio. Fino a quando, durante un film poliziesco in streaming, la connessione salta. Le provo tutte e poi capisco che devo chiamare Krishna. Stavolta arriva quasi subito, ci mette tre giorni. Gli faccio vedere il problema e lui inizia a strattonare con forza il filo del modem che, non fatevi domande, passa sul muro esterno della casa, fa un giro intorno a un ramo e finisce in un punto imprecisato del tetto. Cade qualcosa. Un groviglio di sterpaglie apparentemente. Krishna, che come tecnico lascia a desiderare ma che come scalatore è imbattibile, sale sul tetto. “Madame. Sory”. “Uhm?”
Insomma mi fa capire che c’è una brutta storia sul tetto. Una di quelle storie che non vorresti mai sentire. Una storia di pennuti alti circa un metro e mezzo, con un peso variabile dai cinque a nove chili, che stanno facendo un nido proprio nei pressi del mio cavo. Una storia di marabù. Krishna mi fa notare che lui non ci pensa proprio a cacciare i marabù e che quindi ci devo pensare da sola. Sory.
A distanza di dieci giorni la situazione è la seguente. Ho intavolato un negoziato con la delegazione dei marabù che mi farà sapere se e quando si leveranno di mezzo. Con me ho portato una scopa nel tentativo di sembrare più minacciosa. Loro hanno portato i nove chili di peso insieme a un becco di un certo rilievo. Manca una soluzione concordata. La connessione internet va a sbalzi, non ho visto il finale del mio film poliziesco di cui mi sono dimenticata persino il titolo. Chissà magari a Natale l’arrivo delle renne caccerà i marabù. O forse no. Sory.