Greci
Io adoro questa terra. Entaxi, va bene per i Greci, io non sono obiettivo, dato che c’è sangue greco che mi scorre nelle vene. Ma diciamolo pure: è difficile non amare la Grecia. Non solo perché è bella da togliere il fiato, non solo per il mare, per la filosofia, perché è la culla della civiltà, della Politica moderna e dell’Arte. Io adoro anche quell’indolente, insopportabile, vagamente sbeffeggiante temperamento dei Greci. Che puoi cogliere appieno in pochi altri posti come in un loro caffè. A qualsiasi ora.
Qui la parola chiave è calma…
Eppure, c’è la crisi. Eppure, c’è la Troika. Eppure, sono un popolo alla canna del gas. Io però li trovo uguali a se stessi, quelli di sempre. Tarda mattinata di un lunedì di ottobre, via principale, chiusa al traffico, di Argostoli, capitale di Cefalonia, la più grande e probabilmente la più bella delle isole Ionie. Clima fantastico malgrado l’estate (sarebbe) finita, è un giorno feriale, mi aspetto di trovare pochissima gente. Invece i numerosi tavoli dei caffè all’aperto sono tutti occupati. Per i Greci è inconcepibile andare al bar e stare in piedi. Un insulto, un controsenso, il bar è chiacchiera, ritrovo, socialità, osservazione del mondo, che senso ha il caffè al volo in piedi, cinque minuti e via? Hanno forse torto? Loro direbbero: Adde ore’ malaka… Meglio non tradurre.
Mi siedo, tiro fuori un libro e dei fogli, devo mettere ordine tra un po’ di appunti di scrittura. In fondo son venuto qui anche per questo. Prendo un Neskafè glikò me gala, dolce con latte. Un beverone di mezzo litro da cui già capisci tutto: in Italia tazzina di caffè che in due sorsi e 30 secondi netti l’hai fatta fuori, qui questo. Da sorseggiare con calma, facendo roteare con cura la cannuccia tra i cubetti di ghiaccio, il latte, il caffè, la schiuma, affinché il tutto si amalgami con sapienza. E con calma.
Qui la parola chiave è calma…
Intorno a me una dozzina di tavoli, mi sembrano quasi tutti Greci, A occhio e croce direi che nessuno di loro ha il viso stressato. E nessuno sembra aver fretta o ansia. Sorseggiano bevande varie, da caffè turco a frappè a Ouzaki (Ouzo, bevanda piuttosto forte all’anice e ad alta gradazione). Accanto a me discutono animatamente del prossimo impegno in Champion’s League dell’Olimpiakos Pireo; all’altro tavolo, uno dice che l’unica salvezza della Grecia possono essere i Russi, ortodossi come loro, dato che gli Americani li hanno traditi per tutelare gli interessi turchi e tedeschi. Ma il suo interlocutore, leggermente più giovane, si infervora e risponde che quelli, i russi, sono ancora comunisti e gli Americani prima o poi cacceranno i turchi da Cipro e tutto si sistemerà. Segue un sostanzioso aumento di decibel tra i tre amici al tavolo, ma non sono stupito: a queste latitudini, i toni soffusi non sono precisamente la caratteristica peculiare delle discussioni.
Nel tavolo di fianco una signora chiede all’uomo che è con lei come vanno gli studi del ragazzo (to pedì) a Londra. Quello risponde kalà, bene, con sufficienza, quasi a sottolineare che è scontato. La signora gli racconta che sua figlia a Parigi si sta quasi laureando e poi farà la specializzazione in Provenza. E io mi chiedo che razza di pezzente devo essere io che faccio fatica io a stare al passo con le spese scolastiche delle mie figlie, in asilo e scuola elementare pubblici. Lasciamo perdere.
La dimensione umana e filosofica della vita conta più di qualunque altra cosa
Intanto, in ogni tavolo c’è almeno un komboloi. Una sorta di scacciapensieri, di varie dimensioni, che i Greci tengono in mano e agitano o roteano in continuazione, mentre chiacchierano. Un oggetto di nessuna utilità pratica, ma con una sua intrinseca eleganza, un fascino metafisico, a suo modo emblematico. La dimensione umana e filosofica della vita conta più di qualunque altra cosa.
Adde gamisu, fanculo, la fretta. Adde gamisu la crisi, adde gamisu la Merkel, adde gamisu pure i miei appunti, vado a farmi un bagno.
Zito Ellada, viva la Grecia e i suoi usi e costumi molto mediterranei. Per esempio in fatto di cibo e di inviti.
Altro piccolo appunto di viaggio. Quando si viene invitati in una casa greca, per pranzo o cena, ci si rende conto che Il mio grasso grosso matrimonio greco non era solo un film o una parodia. A volte è la realtà. Ed è meglio avere appetito e stomaci forti.
Ricevo un invito a pranzo dal mio anziano zio, con sua moglie, dove ero spesso ospite da bambino. Cerco di svicolare, sia perché qui a Cefalonia in genere sto tutto il giorno in giro e salto il pranzo, per fare il bagno tranquillamente, sia per non dar da lavorare all’anziana zia. Che comunque, per inciso, è sempre stata una eccellente cuoca. Tuttavia, mi bloccano per un giorno, senza possibilità di replica. Tento di abbozzare almeno una timida richiesta in senso minimalista: zia, fai solo una insalata greca, che peraltro adoro, così non fai troppa fatica in cucina. Risposta inquietante: non ti preoccupare. Ricordo cosa ti piaceva da bambino. Ci penso io.
Quel ci penso io è minaccia più che una promessa…
Prevenire è meglio che curare e al mattino del giorno in questione salto la colazione. Digiuno e affamato, mi presento a casa degli zii, i quali esordiscono dicendo che hanno preparato solo due cosette. Lo zio mi fa fare un giro della villa e andiamo a tavola. Splendida, sul giardino con incantevole vista mare, un mare che conosco bene. Ci trovo sopra una insalata greca così bella da vedere, che quasi dispiace mangiarla, e del coniglio selvatico. Mi rincuoro, penso tra me e me che poteva andare peggio.
…una insalata greca così bella da vedere, che quasi dispiace mangiarla…
Povero illuso.
Appena mi siedo, la zia porta a tavola un vassoio da terzo reggimento fanteria di pastitsio, una sorta di pasta al forno con ragù e besciamella, in cui è sempre stata eccellente. E anche stavolta non si smentisce, a dispetto dell’età. Dopo la seconda porzione, la zia mi fa: sono contenta che ti stia piacendo come da bambino. Spero ti piaccia anche quello che porto ora.
Come? C’è dell’altro? Oltre a pastitsio, coniglio e insalata greca? Si. Mi giro un attimo e vedo un altro vassoio ciclopico con sopra mousakà.
Ora, chi mi conosce sa che io posso resistere a tutto (beh… a quasi tutto!), ma non al mousakà fatto come gli Dei dell’Olimpo comandano. Tanto per chiarire subito come stanno le cose, la zia me ne appioppa sul piatto due porzioni. Non due mattoncini, ma due porzioni da coprirci una parte di Piazza San Pietro. Nel frattempo, lo zio mi riempie il terzo bicchiere di Rombola, il buonissimo e pregiato vino bianco di Cefalonia. Fa caldo, a maggior ragione con tutto quel cibo e vino, ma io sudo freddo, pensando a quanto possa ancora durare il pranzo. Dopo la prima fetta e mezza, strepitosa, provo timidamente a lasciarne un po’.
Ma come, non ne vuoi? Eppure ti piaceva così tanto da ragazzo!
Minchia, zia, ho già mangiato due pezzi di pastitsio, e una e mezza di mousaka, come faccio…
Mi interrompe come se stessi dicendo eresie: Entaxi entaxi, mangia il coniglio, e l’insalata, e la feta, è quella speciale, sai, l’abbiamo ordinata per te. E poi l’uva e i dolci che avete portato.
Faccio mentalmente al volo una specie di gastroscopia intestinale: spazio residuo minimo. Devo bluffare, fingere di mangiare di tutto e limitarmi ad assaggi lilipuziani. Arrivato al dolce, sto per esplodere, ma penso di averla sfangata con insolita abilità, sono riuscito a sopravvivere e non ho scontentato i padroni di casa! Ad un tratto però lo zio mi fulmina: Vasili (Basilio in greco), non hai mangiato niente! Qualcosa non va, non ti piace più la nostra cucina?
Zito Ellada, viva la Grecia
P.S. Ho scelto di riprendere questi appunti di viaggio, oggi, in onore di un Greco molto speciale che adesso starà già filosofeggiando col suo komboloi in mano tra gli Dei dell’Olimpo e sono certo che riuscirà a litigare anche con Zeus, ma dopo pochi minuti berranno del buon vino insieme. Questo pezzo è per te, Barba Makis