Sapore di tanghi
“…Il modo in cui un atteggiamento spirituale viene conservato, difeso, trasportato, trasposto e trasformato nella vita e nel tango, si applica a molti aspetti della nostra cultura… e se ci guardiamo attorno con occhi nuovi, possiamo riuscire a vederci un una luce diversa. Esistono una miriade di versioni della nostra storia…”
David Byrne 2005, prefazione a “Tango, Storia dell’amore per un ballo” di Robert Farris Thompson
Sapore di Tanghi
Sapore di che
del sudore
un po’ aspro
dopo l’estasi
di vento salmastro
di coquilles
di ventagli
e tacchi
di sete, ascelle.
Profumo
un po’ speziato
di lacrime di rimmel
frange sulle spalle
brividi e pariglie.
Abbracci sfiorati
bicchieri che tintinnano
come lampadari
sapore di archi
dolenti sui violoncelli
fianchi rotondi
gambe tornite
giravolte
piccoli assaggi
di voglie.
Sguardi
strabici di casquet
cercano
più avanti
sfuggendo,
piccanti.
E tutte le sere
un po’ marce
di frutta secca
e coloniali
di pepe
e di dolci
finiscono
coi tanghi
fino a tante albe
schiarite
di lampi e desideri.
Anna Bertini, 2010
Il viaggio
E’ un sapore, quello dei tanghi, che la fa sentire bene. Le mette entusiasmo e allegria. Da molto tempo non sente quella leggerezza, quella voglia di incrociare i passi, di scivolare giù verso il terreno, abbandonandosi nella forma più ignota di un abbraccio, quella con un ballerino occasionale di tango. Pensa che sia ciò di cui ha bisogno ora. Un riscatto, un rimettere indietro l’orologio a prima del male. A quando al posto dei medici, delle terapie, del corpo sofferente e estraneo, c’erano emozione e una specie di libertà.
Così compra un biglietto da Firenze per Berlino. Partirà di notte, proprio come allora. Wagon Lit e una valigia minima: scarpe da ballo, due vestiti leggeri, un pullover e una giacca anti-pioggia. Può essere anche grigia e fredda Berlino a Maggio.
Berlino no, non è Buenos Aires, siamo d’accordo, può sembrare che non c’entri un accidente col tango. Ma per lei è il ricordo di un viaggio che ha portato energie e cambiamenti positivi. Le avevano detto che c’erano bellissime Milongas a Berlino, molto fedeli a quelle originali di Baires. E che vi si trovavano milongueros esperti, che ti portavano con stile. Così facendo tappa in Baviera per far visita ad amici, ne aveva raggiunti altri a Berlino e si era fatta portare in giro di sera con la speranza di un momento tutto suo e danzante, lieve. Adesso deve tornarci. Perché Borges ha ragione e il tango è “Convertire l’oltraggio degli anni in musica”. Sente gli oltraggi su quel corpo esile e armonioso come invasori da cacciare, deve liberarsene, ci vuole un viaggio e ci vuole un tango.
Siamo in clima di elezioni europee, la stazione e i dintorni sono invase di manifesti. Sono tutti brutti, senza messaggio, si sprecano in invettive contro qualcuno o inneggiamenti alla propria idea. Imbrattano la notte, casalinghi e grotteschi come quelli di epoche lontane. Con l’Europa non sembrano avere niente a che fare, lei invece va a Berlino, un luogo nevralgico. Il tango ha sempre a che fare coi fatti, coi momenti storici.
Le piace quella luce smussata del treno, i rumori polverosi di ferro, elettrici, sincopati, che finiscono per sembrare un diverso modo del silenzio. Il viaggio sarà più lungo del soggiorno ma non importa, deve far ripartire le cose da quel punto per scuotersi di dosso la tristezza. Riprendersi le possibilità. Anche il cambio di treno sarà nel solito posto: Hauptbahnof Muenchen. Vi arriva in una mattina ordinata e allo stesso tempo frenetica, ha modo di comprarsi un quotidiano nella sua lingua, coi titoli surreali e lontani dalle cose del mondo come si sentono fuori dal suo paese: episodi e opinioni di una realtà involuta, distaccata dal vero. Anche qui ad Hauptbahnof non mancano i manifesti elettorali, facce bavaresi tonde e un po’ gradasse, ma almeno si parla dell’Europa. Di cosa, altrimenti.
E’ di nuovo in carrozza, dal treno campagne desolate gialle di rapa, verdi di appezzamenti coltivati con ordine geometrico, rosso spento di mattoni di fornace. Poi gli agglomerati sempre più radi, fino ad avvicinarsi alle città. Arriva Berlino e si addensa, diversa sempre e sempre attraente, un po’ liscia e riflettente, un po’ sporca e nostalgica.
Qui nei manifesti elettorali le facce appartengono alla popolazione globale: si parla di governance europea e di geopolitiche, si parla di poteri e deleghe. Si guarda oltre confine, è un tema scottante l’Ucraina. Qualche giorno prima negli USA la politica della Merkel a quel riguardo è stata definita imbarazzante. Se ne parla, è il momento. Si parla di rapporti con il mondo. E’ questa l’Europa qui, cos’altro.
Il tango
Ha preso alloggio vicino agli Hackeschen Höfe, il locale si trova lì. Sono corti piene di atelier artigiani, che tramite un affascinante restauro hanno ripreso vita come agli inizi del secolo. Ci sono molti locali alla moda, trovi di tutto, anche quel posto dove lei vuole tornare per il tango, nelle sale jugendstil di un ex cinema – teatro. Ora ci sono i tavoli, e tra i tavoli trovi un partner per un arrastre, un miloguero che ti consenta una sentada sulle sue cosce robuste e solide, che ti accompagni nella lieve torsione della quebrada. Qualche anno prima aveva ballato con Qeis di origini afgane, affascinato dai tanghi e dalle malinconie a cavallo tra l’Europa e il Sudamerica, luoghi lontani e imparentati nel sentire che gli fanno dimenticare la Kabul paradisiaca di quand’era bambino, la città che non vedrà mai più, la città ora violentata, smembrata.
Lei dorme fino allo scendere del buio. Poi si cambia nell’ occhio serotino di una finestra e si avvia a piedi. Entra. Il locale non è cambiato; specchi, cristalli, colonne scannellate. La riproduzione del murales che ritrae Gardel con la fedora in testa, nella Avenida del Libertador a Baires. Foto di schiene e di mani, di gambe incrociate, di capelli raccolti. Non c’è ancora molta gente, è presto. Ancora non si balla, si mandano pezzi anche non proprio classici, rivisitazioni europee e moderne dell’idea del Tango, tanto per fare atmosfera, prima che arrivino i ballerini esigenti e attacchi il bandoneon con l’orchestra dal vivo, attacchi Gardel e Troilo, le habaneras, le milonghe portegne.
Ehi Bandoneon, il fascino delle tue note
si impietosisce del dolore altrui
e, quando il mantice sonnolento si comprime,
il cuor che soffre trova sollievo….
Bandoneon,
questa è una serata di fandango
e posso confessarti la verità…
… torno, notte dopo notte
come un canto
nelle lacrime del tuo pianto,
Bandoneon! *
* Che, Bandoneon! (1949, Homero Manzi per Anibal Troilo )
Già scivola circondata dalle braccia di un partner, si chiama Mario, di cognome fa Stern ed è portegno, ma la famiglia è di origini tedesche. Da 15 anni è tornato in Europa, vive e lavora a Berlino. Ha nostalgia della sua terra, del Caminito, del tango. Non sa di più, né vuole sapere. Lui balla, la tiene forte, è sicuro e leggero come lei e volano sul parquet, spinti in una corrida attraversano la pista; l’intesa è ottima e possono tentare un ocho, le quebradas son molte e anche le tijeras, a forbice, con le gambe incrociate. Vola così la notte e scarica via dal corpo il male, il brutto ricordo, la fatica. Non sente più peso, le gambe sono ancora forti, ancora un giro, un vortice, e gli oltraggi sono musica, sono vita, così ci si libera, ballando. E’ come tornare indietro, volteggiare riavvolgendo il nastro. E’ l’alba. Si comincia a sentire la stanchezza. Ha qualche ora per dormire prima di riprendere un treno, si congeda dal suo miloguero, Adios Mario, ringrazia ed esce nel cortile.
Stanno già preparando un meeting elettorale per la mattina dopo. Un candidato giovane, con gli occhi d’oriente, parla di più parlamento e meno vincoli, più decisionalità ai membri. Parla anche lui dell’Europa, non si rivolge al nemico della porta accanto. Forse almeno lui, qui, sa cos’è quest’Europa, o sa come vorrebbe che diventasse. Nel suo paese invece i più non sanno né come è stata sino qui, né come vorrebbero farla diventare. Comunque sia, lei è pronta per far ritorno alla sua vecchia nuova vita.
Immagini di Lucia Baldini, photographer www.luciabaldini.it