La città col faro
Torno da una città col faro. Sono belle le città col mare che hanno un faro. Non ricordo di aver mai visto un faro dal vivo. Mi sono sentito incantato e vicino, finalmente vicino. Vicino a qualcosa di reale, finalmente reale. Al primo sguardo sembra finto, il faro. Ricoperto di pietra viva, assomiglia tanto ad uno di quei carri allegorici di carnevale. Resto incantato anche dopo questa prima impressione. Incantato da una città che puzza e che non valorizza appieno ciò che ha. Sotto il faro, il Mar Tirreno. Sottovalutato da queste parti. All’occhio risaltano, tra le cento rocce della costa, pezzettini di sabbia nuda sotto il pelo del mare. Il riflesso della poca luce rende verdi questi piccoli angoli di un dipinto naturale. Di fronte, un’isola. Ma partiamo dal principio. I gomitoli di lana mi incuriosiscono. Quella fitta trama di un unico filo da sciogliere e intrecciare per dar sfogo alle fantasie delle casalinghe.
Ma quando attraverso l’Italia, dimentico tutto e cerco di raccogliere sfumature diverse, ogni volta.
Riesco sempre ad agitarmi al punto giusto prima di prendere un treno. La paura di non svegliarmi per tempo. Questo è il fattore che più di ogni altro mi agita. Poi c’è sempre quella sottile sensazione di aver dimenticato qualcosa: ho preso il pigiama? E il dentifricio? E l’accappatoio con le pantofole? Avrò spento il gas? Salvo ricordarmi di avere una cucina con l’accensione sicura e che altre persone vivono in questa casa. Metteteci il fatto che questa volta il treno parte alle sei e quarantacinque (di mattina, avete capito bene) e l’ansia da prestazione (prima di arrivare alla stazione ferroviaria, s’intende) sale. Com’è ovvio che sia, prendo il treno senza intoppo, vergognandomi del tempo perso appresso alle solite paranoie. Salgo sul treno e tolgo tutti i vestiti fino al limite della denuncia per atti osceni in luogo pubblico. Nel treno sudo sempre. Fuori è l’alba. Siedo al mio posto e crollo. Sonnecchio in semicoscienza. Mi risveglio dopo poco, abbastanza rilassato. Inizio a scrutare il paesaggio. Col treno che sfreccia a trecento allora è un po’ difficile. Ma quando attraverso l’Italia, dimentico tutto e cerco di raccogliere sfumature diverse, ogni volta. Da Sud a Nord, passando per il centro. Cambiano paesaggi. Fitta nebbia, sole timido tra le nuvole. Raggi di sole che scaldano campi arati ad arte. Colline, alberi di ulivo, mandrie e greggi di bestie mansuete al pascolo. Uno stormo disegna traiettorie non ben definibili. Vorrei immedesimarmi in un uccello, in mezzo a quello stormo ed essere trascinato dalla scia di un compagno di volo e vedere tutto sotto un altro punto di vista e comprendere quelle traiettorie. Il mio vicino di posto ha le cuffie nelle orecchie. Non sembra disposto a dar retta a nessuno. Il tempo passa in fretta quando sono intento ad ammirare la bellezza che mi circonda in svariati attimi che formano un unico momento. Ora è il momento di scendere da un treno e salire su un altro. Dal capoluogo di Regione all’entroterra. I vigneti, i capannoni. Ville a strapiombo sul mare. Solo da una certa angolazione possono scrutarsi certi particolari. Il mare alla mia sinistra. Disteso sino all’orizzonte. Come al suo solito. Mai fermo, sempre in cerca di momenti migliori. Giungo a destinazione. La città col faro. Circondata dal mare. La stazione è piccolina. Più piccola di quella del mio piccolo paese. La città sembra piccola. Quattro strade incrociate, il duomo. Sottovalutato. Il castello. Il museo archeologico. Bar, ristoranti e gelaterie. Il torrione. Un ipermercato. Niente librerie. Negozi di vestiti e di scarpe. Di intimo femminile, di abiti da uomo. Qualche hotel. Sarebbe un posto fantastico in estate. Me lo immagino pieno di gente. Ma a me piacciono di più le cose viste da una prospettiva diversa. Mi ricorda tante cittadine italiane visitate nel recente passato. È bella anche così, questa città. Però puzza. Nei vicoletti si sente un odore acre. I bisogni dei cani hanno impregnato le pietre. Con la complicità delle vecchie acciaierie dismesse. È bella anche così, questa città. Senza troppa gente a confondermi le idee. Mi godo la tranquillità, le risate. La compagnia. Le risate, ancora e ancora. E dal belvedere, quando cala la notte, l’isola illuminata davanti agli occhi. Un po’ di silenzio. Si fa presto a dimenticare i problemi. Lo sciabordio del Mar Tirreno illuminato a intermittenza dal faro. E cala il coprifuoco. Passo la notte in modo distratto, preso da enigma incompleto. Riparto. Mangio poco quando sono in viaggio. Lo stomaco mi si chiude, specie al ritorno. Arrivo al tramonto. Un’enorme sfera arancione cala creando un effetto unico. Alla mia sinistra il sole si nasconde. Cala il buio e nella mia testa, la città col faro.