Istruzioni d’emergenza
La scena era la solita. Quella di centinaia di altre occasioni. Era un uomo impegnato, d’altra parte, in volo ci stava tante volte in un mese. Spesso per lavoro, ma non sempre. Stavolta rientrava nella parte del non sempre: per il mondo, e in particolare per sua moglie, era un noioso weekend con l’ennesima convention aziendale; nella realtà, gli si prospettava un weekend per nulla ordinario ma molto focoso, con l’assatanata collega conosciuta in quel corso di formazione. Però… insomma, si, lui sua moglie la amava, e a modo suo la amava veramente. Perciò, quel rigurgito di coscienza, che comunque aveva, gli girava come un peperone mal digerito nello stomaco: aveva proprio tutte le sembianze di un senso di colpa. Cercò di metterla a tacere aumentando il volume della musica in cuffia, anche se sapeva che prima del decollo le hostess avrebbero chiesto a tutti di spegnere qualunque dispositivo elettronico, fino a decollo avvenuto. E subito dopo sarebbero partite con le solite, noiose -quelle si- spiegazioni illustrate sulle dotazioni di sicurezza dell’aereo e sui comportamenti da tenere in caso di emergenza.
Il salvagente sotto il sedile della poltrona… bla bla… la lucina davanti l’uscita di sicurezza che vi indica la via di fuga in caso di emergenza… bla bla… la maschera per l’ossigeno che si aprirà automaticamente… bla bla bla. E soprattutto il passaggio pratico che, ne era certo, in caso di reale necessità non avrebbe mai saputo attuare: agganciare il salvagente, dopo averlo gonfiato soffiando e, pensa un po’, dopo avere aiutato “chi dovesse avere bisogno del vostro aiuto“. Cioè: non solo doveva essere in grado di gonfiare il suo, ma anche quello di altri. Fantascienza pura.
Come tutte le altre volte e come tutti quelli a bordo, anche stavolta, non seguì nulla delle spiegazioni che le povere hostess si sforzavano di fornire, col loro bravo sorriso stampato in viso. Che poi, scusa – si chiedeva – che minchia c’è da ridire mentre mi illustri cosa dovremmo fare mentre precipitiamo?? Siccome, malgrado il senso di colpa che, subdolamente, si ostinava a non lasciarsi sopprimere, lui rimaneva comunque un uomo sensibile a certi stimoli e capace di fantasie bizzarre, le sole cose che attivavano il suo cervello erano le movenze delle hostess durante la dimostrazione; mentre allargavano le braccia per indicare le uscite, lui tentava di indovinarne la misura del reggiseno e -nei casi più stimolanti del suo testosterone- si immaginava come doveva essere un amplesso con la hostess mentre l’aereo precipita e lei gli chiedeva: fammi morire felice.
Immerso in tali profonde e liriche riflessioni, si addormentò, mentre dagli altoparlanti si raccomandava di tenere le cinture allacciate per l’intera durata del volo, in quanto erano previste leggere turbolenze lungo la rotta, ripetendo a se stesso che tanto un aereo non precipita e se precipita, non sarà mai il mio.
tanto un aereo non precipita e se precipita, non sarà mai il mio
L’aereo raggiunse la quota e la velocità di crociera previste e nella sua mente, tra il sogno e la veglia, si alternavano alla voce potente di Bono in Song for Someone, l’immagine della hostess intenta a spiegare le modalità di utilizzo del salvagente, quella della collega a cavalcioni su di lui non esattamente coinvolti in un brainstorming sull’ultima offerta lanciata dal marketing; e ancora le strane forme che disegnavano le nuvole in cielo al di là del finestrino. E poi, cosa che gli capitava spesso ultimamente, vedeva lo sguardo arrabbiato della sua vecchia maestra delle elementari, quello che lo fulminava ad ogni marachella. Dormiva profondamente quando un rumore forte lo destò, l’aereo sobbalzò, le cappelliere si aprirono e lui, come altri passeggeri sbattè violentemente contro le pareti del veivolo, mentre le hostess invitavano tutti a mantenere la calma.
Sembrava la scena iniziale di uno di quei film del genere Terrore ad Alta Quota.
Ma lui pensò subito che questo non era un film e che tutto sarebbe subito rientrato nella normalità, bastava mantenere la calma. In quel preciso istante, però, l’aereo virò verso il basso con un’inclinazione innaturale. Nonostante le raccomandazioni non aveva le cinture allacciate, fu sballottato senza controllo.Vide il suo sangue sporcargli mani e camicia, e nel frattempo gli piombò addosso un altro passeggero dalla fila accanto.Urla, richieste d’aiuto, invocazioni a Dio, pianti: lui non sapeva cosa fosse l’inferno, ma quell’aereo, in quel momento, doveva esserne una rappresentazione degnissima.
Vide una bambina attonita, silenziosa, attaccata alla spalla della madre riversa sul sedile, probabilmente priva di sensi. Ebbe l’impulso di aiutarla, tentò di spostare l’uomo, anziano e pesante, che gli era finito addosso, ma il passaggio per arrivare alla bambina era comunque ostruito da persone e bagagli sparsi lungo il corridoio situazione che andava ad aggravare il precario equilibrio che si può avere sopra un aereo in caduta libera.
Ricordò le istruzioni d’emergenza e il dovere di aiutare gli altri ad indossare il salvagente, dopo avere indossato il proprio. Il salvagente?? Dov’era? Aveva sentito mille volte quelle istruzioni, ma ora che serviva non aveva idea di dove fosse il salvagente. Guardò dal finestrino, realizzò che non si era trattato di una virata, l’aereo stava precipitando. Aveva smesso di avvitarsi su se stesso, ma continuava a perdere quota. Il mare, sotto, cominciava ad apparire minacciosamente vicino. E quel cazzo di salvagente lui non sapeva dove prenderlo. Urlò ad un assistente di volo che era ferito e quello, con un filo di voce, riuscì a dirgli sotto la poltrona. Tenendosi come poteva, si allungò per tirarlo fuori senza successo. La bambina era uscita dal suo raggio visivo, la cercò con gli occhi, non la trovava. Intanto il mare era sempre più vicino, lui tentava di isolarsi dalle urla disperate tutto intorno per concentrarsi su cosa fare, il salvagente gli pareva il solo elemento su cui poteva avere il controllo. Ma non riusciva ad estrarlo e ora il braccio gli era rimasto incastrato.
Il mare ormai era lì, l’impatto imminente. Ancora pochi secondi e la sua vita sarebbe finita. Sperava almeno non fosse troppo doloroso. Fino a quel momento era stato in una sorta di trance lucida, senza isterie; ora però l’angoscia era insopportabile. Voleva vivere. Solo 37 anni, come poteva morire senza lasciar traccia viva di sé, non un figlio, non un capolavoro artistico, non una grande scoperta scientifica, nulla per cui valesse la pena ricordarlo: cosa sarebbe rimasto del suo fugace e impalpabile transito terrestre? Meritava di vivere ancora. Era un brav’uomo, tutto sommato. Si, ok, tradiva la moglie, diceva qualche bugia, beveva qualche bicchiere di troppo, ma morire adesso no, non se lo meritava. Il mare era agitato, ormai dal finestrino poteva distinguere il blu intenso sulla superficie. Improvvisamente, gettò un urlo sovrumano, acuto, disperato.
pensò di essere sott’acqua, che il mare lo avesse inghiottito. Forse era già morto. È così, dunque, la morte?
Riaprì gli occhi di soprassalto. Sudato, in lacrime, tachicardia ed evidente stato di alterazione psicosomatica. Era buio. Per un attimo pensò di essere sott’acqua, che il mare lo avesse inghiottito. Forse era già morto. È così, dunque, la morte? No. Quello era il suo letto. Lo riconosceva al tatto e le sue pupille iniziavano ad orientarsi nel buio della stanza conosciuta. Non c’era nessun finestrino e nessun mare che stava per inghiottirlo. Andò alla finestra, c’era un’alba bellissima e un cielo carico di disegni fatti di nubi che gli ricordarono quelle che aveva visto in sogno. Mandò un messaggio all’amico tassista che di lì a poco sarebbe venuto a prenderlo per portarlo in aeroporto, poi un altro messaggio all’amica, quella amica, per dirle che non se ne faceva più niente. Non poteva venire. Accese il pc, digitò su Google il seguente testo: “istruzioni per i passeggeri di un volo, cosa fare in caso di emergenza”. Stampò il testo, poi cercò il video di una dimostrazione pratica, lo trovò. Lo vide tre volte, ogni volta soffermandosi su diversi punti. Soprattutto quello sui salvagenti. Si preparò un caffè e lo guardò ancora una volta. Poi si vestì, passò da un fioraio appena aperto, comprò un mazzo di rose e andò dalla suocera. La moglie quella notte aveva dormito lì.