Qualcosa di dolce
Aveva voglia di qualcosa di dolce, una carezza consolatoria, un concentrato di zuccheri e grassi che potesse compensare il freddo che sentiva nelle ossa. Non era normale, visto che stava sbaraccando una marea di cose da buttare, il che accelerava di parecchio la circolazione. Eppure quella notizia piano piano stava penetrando come un ghiaccio sottopelle. Tra un cartone da riempire e l’altro, ogni tanto il cervello tornava autonomamente su ciò che aveva appreso poco prima. Sperava di non pensarci, aveva la sensazione di non avere il diritto di farlo. Era un andirivieni di sensazioni, un continuo sali e scendi, come il dondolio di un’altalena folle. Il bisogno di qualcosa di dolce stava diventando un’urgenza.
Tutto era chiaro, immobile, eternato in una bacheca del cervello. Di una cosa non aveva il ricordo: quando e come quella specie di fratellanza venne meno.
L’amicizia con lei si era ridotta a momenti di sana cordialità limitata agli incontri per strada o al supermercato. Pochi minuti, qualche domanda, un breve aggiornamento ed un ciao, senza nessuna promessa, senza nessun appuntamento, come se la vita fosse infinita e piena di opportunità. D’istinto aveva pensato di telefonare, ma poi si rese conto che non avrebbe avuto nulla da dire, se non come stai. E a cosa sarebbe servito? Farsi sentire dopo tutti quegli anni avrebbe confermato a lei il peso di una notizia certa, avrebbe aperto il sipario su una realtà già decisa e definita. Cosa avrebbe dovuto rispondergli? Sto male, sto morendo e visto che mi telefoni adesso so che anche tu lo sai. La brace della sigaretta cadde bruciandogli la caviglia scoperta. Si riaffacciò al presente e quella maledetta voglia di dolce ritornò a premere sul cervello e sullo stomaco.
Si alzò, una vertigine saettò come un fulmine dal collo fino a tutta la spina dorsale. Aveva bisogno di qualcosa di dolce. Andò in cucina, sbucciò delle mele e preparò una torta, fragrante e succosa e le diede il nome di lei.