Siamo Persone, non Brand
Sarà che la parola brand fa sentire tutti molto giusti, molto ok. Esattamente come mission e challenge. Ma non è la denigrazione dell’italiano il (solo) problema. È la mentalità aziendalese e burocratese che travalica i confini del vendibile e invade lo spazio degli affetti, dei sentimenti, dell’autopercezione.
E’ la mentalità aziendalese e burocratese che travalica i confini del vendibile e invade lo spazio degli affetti, dei sentimenti, dell’autopercezione
Siamo persone, non brand.
E Marx poteva avere ragione sulla questione del lavoro come merce, ma nemmeno tutti i lavori lo sono fino in fondo. Prendiamo per esempio un medico: potrà avere un curriculum da paura e una presenza impeccabile, si sarà venduto benissimo per essere promosso primario e per raggruppare una schiera di clienti (ops, pazienti) nel suo studio privato, ma se poi è una persona priva di umanità o sprovvista di buon senso, chi tornerà da lui una seconda volta? Quale dei suoi colleghi lo supporterà in caso di bisogno?
Lo stesso vale per il mondo del giornalismo. Chi lo pratica può avere uno stile, un ambito di interesse, ma non un marchio. Se giornalista è veramente, non vende, racconta. E lo fa nel modo più diretto possibile. Deve essere invisibile, per dare spazio ai volti e alle storie che porta allo scoperto. Vale anche per chi si occupa di moda e di calcio: la sfilata e la partita lasciatele alla modella e al calciatore, altrimenti cambiate lavoro.
Senza dubbio esistono professioni in cui la presenza, il carisma e una certa coerenza nell’immagine contano. Pensiamo ai personaggi dello spettacolo, ai romanzieri, ai cantanti e ai food blogger. In questi casi spesso e purtroppo il vero prodotto -un film, un programma tv, un libro, un disco o una ricetta – passa in secondo piano. Ma ciò avviene solo quando non è abbastanza forte per reggersi in piedi da solo, quando s’inverte il rapporto tra soggetto e oggetto e il contenuto fuoriesce dalla forma, troppo ambiziosa per trattenerlo.
Vale anche nei rapporti. I luminari della psicologia, insieme ai tanti manuali di self-help che promettono di accrescere la nostra autostima, ci insegnano, in realtà, come venderci al meglio: al primo appuntamento con un uomo, nelle uscite in compagnia, quando veniamo presentati ai suoceri.
Si esclude solo un piccolissimo dettaglio: siamo persone.
E come tali prive di controllo totale sulla nostra immagine. Ciò di cui possiamo essere sicuri è la nostra identità, ma i due concetti non corrispondono, perché l’identità resta una e nostra soltanto, l’immagine cambia a seconda degli occhi che la osservano.