AUDIOGHOST’68 – Il Cretto di Gibellina
Metti una notte fredda d’inverno. La terra trema e inghiotte vite, persone, case, cose. In pochi secondi. Di un Paese intero, con la sua Storia, e le sue tante Storie, rimangono macerie e lacrime. E aria di morte. Accade così in tanti terremoti, in questo caso parliamo di quello della Valle del Belice, la notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968, e in particolare di Gibellina, in provincia di Trapani.
Metti però che la vita vuole essere, ed è, più forte della Morte. E l’Arte le viene in soccorso, per ricordare, per rinascere, per elevare. Metti che un Sindaco intellettuale e illuminato, chiede aiuto a tanti artisti contemporanei, e uno di questi, un genio, un eclettico, un uomo a volte incompreso o contestato, risponde “presente”. Un artista italiano talmente gigantesco che nel 2015, nel centenario della nascita, gli è stata dedicata una mostra esclusiva al Guggenheim di New York. Stiamo parlando di Alberto Burri, che, su invito di Ludovico Corrao, nei luoghi dell’antica Gibellina, a venti chilometri da dove è stata ricostruita la città nuova, durante una visita nel 1981, concepisce quella che poi diverrà la più grande opera di land art al mondo: il Cretto di Gibellina, oltre novantamila metri quadri, costruito lì dove dopo il terremoto c’erano solo macerie e morte. Un inno alla vita, attraverso l’Arte, che pure suscitò, e suscita tutt’ora, sentimenti contrastanti. Specie negli abitanti più anziani del paese, che in quelle macerie vedevano comunque reliquie della loro vita, resti della casa dei padri, e hanno avuto la sensazione che quei blocchi di cemento bianco li seppellisse per sempre.
Il primo blocco del Cretto, circa due terzi del totale del progetto originario, fu costruito nella seconda metà degli anni ottanta, in quattro anni; poi i lavori vennero interrotti ed ora è stato finalmente completato.
Per celebrare il Cretto finalmente ultimato, lo scorso 17 ottobre, l’amministrazione comunale ha organizzato un evento particolare, Audioghost ’68, affidandosi ad un artista di fama internazionale, Giancarlo Neri, insieme a Roberto Del Naja, musicista anch’egli internazionale e leader dei Massive Attack.
Mille spettatori che diventano anche attori, muniti di torce, in un suggestivo scenario notturno, che li vede entrare nelle venature del Cretto e illuminare la notte della vecchia Gibellina in questo gioco di luci e di colori, con centinaia di radioline attaccate alle pareti ad emettere musiche e suoni originali risalenti proprio a quel gennaio 1968.
Confesso che quando ho letto il programma mi sono chiesto quale potesse essere l’impatto visivo di uno scenario del genere. Avevo anche la curiosità di rivedere meglio il Cretto, che avevo visitato distrattamente molti anni orsono, ancora incompleto. Da buon Siciliano che ama la sua terra e riesce ancora a restarne stupito. Gibellina e il suo Cretto parlano di Sicilia, sono un emblema di questa terra, con le sue mille contraddizioni e il continuo incontro/scontro tra Vita e Morte, tra Luce e Buio.
Ebbene, l’impatto è stato… Emozione pura. Che ha incantato tutti, siciliani e non, gente proveniente da tutta Italia, in misura molto superiore alle previsioni: si attendevano mille persone, ce n’erano oltre tre mila. È stato speciale attraversare e al contempo illuminare il Cretto con le torce di cui ciascuno era dotato, e sentire gli anziani del paese raccontare che in quel dato punto sorgeva la casa natìa, o la chiesa, o il vecchio panificio; e accanto, accenti romani o milanesi ammirare ammirati.
Il Cretto parla di un corpo con ossa che erano senza vita e a cui è stata data una nuova sembianza, come un’armatura che lo proteggerá dal tempo, come una poesia che rende più sopportabili le rovine, impronta di nuova umanitá.
Io non so se l’Arte abbia o no dei “compiti” precisi, per me è sempre stata qualcosa che ha a che fare con Emozione, col Sublime, con la Vita che resiste ed è più forte della Morte.
Quella sera, al Cretto –e a quello che vuole rappresentare- è stata data vita, come sangue che scorre nelle vene di un corpo. Grazie a chi lo ha voluto, pensato e organizzato, compresi due intellettuali straordinari del Novecento come Ludovico Corrao e Alberto Burri, e grazie a ciascuno dei tre mila spettatori e protagonisti.