Il marketing dell’attesa
Ci pensavo proprio oggi in attesa del mio turno alla cassa. Che no, non sono cattivi. I direttori marketing dei supermercati e dei centri commerciali sono solo sensitivi. Sentono, cioè, quanto al pubblico piace attendere. Badate bene, ho detto “attendere”, non “aspettare”, ché nemmeno per un minuto e mezzo di fila prima di mettere i miei acquisti sul rullo nero sono stata capace di non fare altro. Tutti odiano aspettare, tutti amano attendere.
Per questo, e qui riprendo il sottile ragionamento di Francesco Colonna, all’inizio di ottobre gli scaffali dei supermarket già strabordano di panettoni, pandori e torroni. E date il tempo ai commessi di ripulire le mensole da zucche e fantasmini (spostati nell’area offerte speciali) che faranno la loro comparsa renne, babbi natali e befane.
Suvvia, quella che vi fa lamentare è la voce del perbenismo, del consumo modico e castigato. La verità è che, anche se non vi passa nemmeno per l’antibagno degli emisferi cerebrali di comprare un panettone prima di dicembre, siete contenti. Vi rallegrate a ogni lucina che si accende per le strade con scandaloso anticipo e a ogni confezione natalizia che compare nei negozi.
Tutti odiano aspettare, tutti amano attendere
Eppure attendete. Esattamente come dal giovedì mattina si pregusta il weekend. C’è un motivo per cui il sabato è più bello della domenica, anche se magari include una mezza giornata di lavoro: c’è ancora qualcosa da attendere. L’uscita della sera, la dormita dell’indomani, il pranzo più curato, la gita fuori porta. La domenica, invece, non si ha che il lunedì alle porte, e già nel primo pomeriggio cala l’ombra del suo imminente arrivo.
E’ così: la vita è fatta di attese. E le attese, anche le peggiori, hanno il pregio del mistero: non si sa che cosa accadrà e nessun pessimismo cosmico sarà mai in grado di zittire la speranza.