L’amore ai tempi della metro
Mattino. Apro le palpebre, è ancora buio; indosso i vestiti, sanno di notte, gli somigliano nell’umore, nella temperatura.
Salgo sulla metro piena di lampadine, filamenti di tungsteno rotti, alcuni assenti.
Mi accorgo di avere dimenticato la faccia.
Vengo rapito da uno sguardo, anzi forse sono io a rapirlo.
Che dichiarazione d’amore immensa uno sguardo sulla metro: attorno tutto si muove e resta uguale, come il quadro astratto fuori dal finestrino di un treno che viaggia troppo veloce, strisce di colore.
Guardali questi uomini:
sette miliardi di lancette che girano sull’orologio del mondo
È la mia fermata, tutto intorno ricomincia a muoversi frenetico e lento.
A passo svelto attraverso la folla, questa sinfonia di strumenti che dirigono ognuno il proprio tempo, ogni ritmo contagia ed è contagiato; adoro la sensazione che mi dà intuire le traiettorie, le velocità, le eventuali direzioni o addirittura le destinazioni, tanto che potrei quasi immaginare la storia di tutte le vite che mi lascio alle spalle in questa inarrestabile avanzata verso la Linea A.
Ti rincontro. Chi l’avrebbe detto?
In fondo non era poi così improbabile.
Comincio a credere di stare seguendo te ma io lo so, io so di avere una mia destinazione, so di dover salire su un’altra metro eppure il motore della mia azione non è più proprio uguale a prima.
Mentre onde di scarpe frangono il silenzio lungo i corridoi bianchi di questo ospedale sotterraneo, inizia a germogliare in me la sorprendente speranza che il tuo percorso possa essersi sovrapposto al mio; perché poi? Un po’ mi piaci ma, lo so, io sono sedotto dall’idea.
L’angolo destro della mia bocca vorrebbe solleticare l’occhio sopra di sé non appena salgo sul tuo stesso vagone, o forse sei tu a salire sullo stesso vagone mio: mi seggo nel posto esattamente di fronte e a lato del tuo, o forse tu ti siedi nel posto esattamente di fronte e a lato del mio.
Inizio a non capire: chi ha dato vita a questo inseguimento dove caccia chi è cacciato ed è preda il predatore?
A volte è generoso chi riceve più di chi dà.
Costringo gli occhi al pavimento per non incrociare il tuo sguardo.
Tiri fuori il cellulare dalla borsa, hai ricevuto una chiamata alla quale rispondi guardando in basso, guardandoti dentro: la tua voce suggerisce che non lo ami più mentre io potrei darti ciò di cui hai bisogno.
Quando hai iniziato a piacermi tanto?
So che mi stai sentendo, puoi sentire i miei pensieri, quali lettere disegnano sul foglio umido della mia mente;
gonfi il petto inorgoglita, lo ammetti, per essere la protagonista, la femme fatale, la donna che muove l’azione del mio dramma d’amore.
Dentro te sai già tutto, hai già visto tutto, tutto vissuto, senti ormai il mio peso sulla tua vita, la tua pelle si consuma e sei stanca prima ancora di aver cominciato.
È la mia fermata, tutto dentro ricomincia a muoversi frenetico e lento.