Lavoro di notte
Mentre molti, quasi tutti, dormono, c’è un popolo della notte che lavora. Sempre, feriali e festivi, Natale e Ferragosto. Lo sappiamo, nessuna scoperta. È un popolo eterogeneo. Varia umanità che ogni tanto si mescola, per pochi attimi o poche ore vite normalmente lontane si sfiorano. E qualche volta si salvano.
Quasi sempre si tratta di gestire bisogni improvvisi o urgenti, curare o prevenire guasti a cose o persone. Ci sono i custodi dell’ordine pubblico e della sicurezza. Per scelta o per caso hanno la divisa dei buoni, o almeno delle guardie, mentre dall’altro lato c’è sempre qualcuno che tenta di appropriarsi di qualcosa che non gli appartiene. Che infrange leggi, penali e morali. Ci sono quelli che costruiscono o aggiustano, cantieri che devono essere operativi di notte, perché il traffico del giorno non è indicato. Ci sono quelli che per lavoro, di notte, rispondono a un telefono. E poi ci sono quelli che devono intervenire quando qualcuno sta male o si fa male. Negli ospedali, per esempio. Una notte in Pronto Soccorso è un racconto fatto di mille racconti.
Via vai nel caos.
E gente che si lamenta.
E colori di codici, che stabiliscono priorità.
E sullo sfondo, miraggio infingardo, il sonno, che nessuno può abbracciare. Non chi sta male, non chi accompagna, non il popolo della notte che lavora per accoglierli e se possibile aiutarli. A nessuno di questi, per lunghe ore, il sonno è concesso.
Varia umanità che ogni tanto si mescola, per pochi attimi o poche ore vite normalmente lontane si sfiorano. E qualche volta si salvano.
E invece, per alcuni, ci sono le attese. Lunghe. Mentre gente dai camici di colori diversi corre, ognuno ha una corsa e una cosa diversa da fare. Qualcuno con un sorriso, qualcun altro con una faccia stanca, qualcuno con ombre sugli occhi che non sembrano soltanto stanchezza. Starà pensando agli affetti a casa, o agli affetti non più a casa. Ai successi di cui adesso non frega niente a nessuno, a lui per primo, o ai fallimenti. Chissà perché, è nella notte che più facilmente si presenta all’improvviso il conto di tutti i tuoi fallimenti. La lentezza della malinconia che si legge in certi occhi, contrapposta alla velocità frenetica di un’emergenza, di un codice rosso, di un ragazzo estratto dalle lamiere di qualche macchina distrutta per un colpo di sonno o per un bicchiere di troppo.
Qualcuno che non vede l’ora che finisca il suo turno e via di corsa a dormire, o ad abbracciare una persona o un cuscino. Ma comunque lontano da lì, da lamenti e richieste, e zanzare tutto l’anno, pure quando fuori è il diluvio.
Chissà perché, è nella notte che più facilmente si presenta all’improvviso il conto di tutti i tuoi fallimenti
Qualcuno cerca cose, esamina dati, guarda monitor che emettono bip continui o intermittenti. Pressione, saturazione, indici, ossigeno, i bip misurano o tengono sotto controllo parametri importanti. Ma il suono è comunque odioso.
L’infermiera, locale, è palesemente seccata, abbrutita da quel lavoro in cui credeva, forse, un tempo. Oggi invece aspetta solo il ventisette del mese e gliene frega poco se, quando infila l’ago in vena alla vecchietta per la flebo, causa dolore a chi di dolore già è carico di suo, solo per non prestare un po’ di attenzione in più. E invece c’è l’ausiliaria precaria, contratto di sei mesi, appena assunta. Accento e colori dell’Est, chissà se sarà Bulgaria o Ucraina o Albania il posto da cui viene. Lei sorride a tutti, emana serenità, parla col signore anziano e con pazienza risponde anche alle continue domande senza senso. È felice di quel che fa, si vede. E quel suo sorriso, per un attimo cambia il colore di quella stanza piena di lamenti, ansie e attese stanche; per un attimo, contagia anche gli altri del popolo della notte che lavora o di quelli che si trovano lì per un cuore o un polmone o un fegato che fa i capricci, o perché è caduto da chissà dove, ha sbattuto, è scivolato. Per un attimo, persino quel posto di umanità che non sorride può diventare sorridente. Chissà se anche quando avrà un contratto regolare e l’Italia non le sembrerà più la terra promessa, quel sorriso e quella pazienza coi degenti li manterrà ancora.
Intanto la notte scorre. Per qualcuno la paura è finita: sembrava una cosa grave, un infarto, un ictus, un colpo potenzialmente letale, ma non lo è. Si dovrà riguardare e seguire delle prescrizioni, ma non c’è ragione di rimanere ancora lì. E c’è chi deve restare ancora. Attendere esiti di esami, attendere che si liberi un posto in reparto, attendere che sia il proprio turno. Attendere, con la vita in tasto pausa, e nemmeno la pubblicità a distrarti. Sperando che manchi ancora molto per la propria ora. Nell’attesa, tra bip e monitor, paure e speranze, per qualcuno ci sono parole nell’aria da catturare: scrivere rende le ore meno pesanti…