Che i morti riprendano la strada di casa
Il giorno che i morti persero la strada di casa, scriveva Camilleri. Amo questo autore da anni, ma non mi era mai capitato di leggere il brano citato. Dipinge un ritratto sublime sulla tradizione siciliana del culto dei morti. L’autore racconta che durante la sua infanzia, la notte tra il primo e il due novembre, tutte le case dove viveva un picciriddro si popolavano di morti. Ma non si trattava di un film dell’orrore, di una situazione onirica della peggior specie. I cari venuti a mancare, semplicemente ritornavano a casa, a confortare i parenti con la loro presenza. Nessun lenzuolo bianco, nessuna catena strascicata in terra. I nonni, gli zii, a volte anche fratelli, ritornavano con le stesse sembianze con cui li avevano salutati nell’ultimo giorno, esattamente come erano rimasti cristallizzati nelle foto esposte in salotto. Nessuno zombie insomma, prodotto commerciale di più recente creazione, spesso tendente al trash. In Sicilia si celebrava un legame affettivo, talmente forte da trascendere anche la morte, in un connubio felice tra religiosità e festa pagana, come da sempre ci racconta la storia.
Per i piccoli la tensione era fortissima, l’attesa spasmodica, l’emozione indescrivibile, ma non c’era paura
Una sola volta mi è capitato nella vita di passare qualche giorno in Sicilia proprio nel periodo della commemorazione dei defunti. Avrò avuto sette o otto anni. Non era passato molto tempo da che un mio zio di soli trentatrè anni morisse per un male incurabile. L’evento lasciò una ferita aperta e sanguinante in famiglia, e della morte si parlava come di una traditrice, rabbiosamente, con disperazione, rancore, quasi bisbigliando. Le poche notizie che riuscivo a carpirne mi rimandavano ad una realtà di dolore, smarrimento, abbandono, irrepparabilità che mi terrorizzavano. Quando i congiunti siciliani mi dissero che avrei ricevuto regali e dolcetti dai miei nonni che neppure avevo mai conosciuto, caddi in preda al panico e la sola idea di dover andare al cimitero il giorno seguente mi fece scivolare in uno sconforto mai provato. Trovavo strana l’allegria dei cugini, gli ammiccamenti degli adulti, quell’aria di festa anche se al contempo ne ero incuriosito, affascinato. I bambini hanno mente elastica e più passavano le ore più iniziavo ad entrare in un nuovo ordine di idee.
Ricordo come fosse adesso che la zia Isabella venne a svegliarci: Amunì, picciotti, si fici tardi, ancora rintra u lettu semu?
Fu l’unica volta in vita mia che trascorsi il 2 novembre in Sicilia, fu l’unica volta che ebbi a che fare con i nonni paterni. Fu l’unica volta che realizzai la possibilità che possa esistere un’altra dimensione. Fu l’unica volta ma non l’ho mai dimenticata.
Halloween non mi è mai piaciuto, lo detesto, lo trovo artificiale nonostante le sue rispettabilissime origine celtiche, ma che dire, di quelle origini credo conservi ben poco.
Ringrazio il mio amico Gianni per aver postato su Facebook il brano di Camilleri che ho citato e per via del quale è riemerso uno dei ricordi più teneri della mia infanzia.