Sono strani gli umani!
Che gli umani sono strani lo sanno tutti i gatti. Non tutti però sanno che il più strano ce l’ho io in casa.
Ero poco più di un cucciolo, vagabondavo da solo per la strada, abbandonato, magro e sporco. Avevo fame e in varie occasioni avevo già rischiato qualcuna delle sette vite che porto in dote dalla nascita. Ero stufo e ben deciso a trovare una sistemazione.
È stato facile.
Mi sono acquattato sotto un cassonetto e ho aspettato. È arrivato lui e ho capito che era quello che volevo.
Parlava al telefono gesticolando, solo che la mano che non reggeva il telefono portava un sacchetto della spazzatura. Rotto. Più gesticolava, più ne versava il contenuto e non se ne accorgeva. Per giunta piovigginava e lui era senza altro riparo che il cappuccio di una felpa, quindi era abbastanza fradicio, e tuttavia non se ne curava. È stato un attimo. Mi sono intrufolato fra le sue gambe, ho ricevuto addosso quel che restava del contenuto del sacchetto mentre lui inciampava e finiva in una pozzanghera.
Nonostante il disastro si è messo a ridere, tutto zuppo, il che mi ha confermato che era il tipo per me. Solo un umano strano può convivere con un gatto.
Mi sono seduto ad un centimetro dal suo viso giusto mentre cercava di alzarsi e recuperare il telefono e ho fatto quel musetto che solo noi cuccioli di gatto sappiamo fare e che vuole dire: “per-favore-prendimi”. Ci ho messo anche un meo così straziante da stupire perfino me. L’umano mi ha visto piccolo, sporco, indifeso, sperduto e bagnato come lui e non ci ha pensato due volte. In un attimo ero al sicuro nella tasca, per fortuna non troppo bagnata, della sua felpa. Poco dopo ero sul divano più morbido nella casa più calda che potessi mai sognare.
Successivamente ero sul letto con lui, per la precisione sotto un piumone pazzesco.
E ci sono rimasto.
Poco dopo ero sul divano più morbido nella casa più calda che potessi mai sognare.
Sono passati un po’ di anni, e ho avuto conferme che il mio umano è proprio strano.
Vive solo con me e per fortuna che ci sono io. Mi tocca controllare tutto quello che fa, stare attento che non sporchi, che non lasci briciole in giro quando mangia. Devo farlo giocare quando lo vedo mogio altrimenti comincia a innervosirsi.
Si innervosisce quando si sente solo. Per un po’ ho valutato come potevo farlo sterilizzare, perché gli passassero certi impulsi incontrollati, ma poi mi ha fatto pena e ho pensato di sopportare le sue intemperanze da astinenza, che tanto vanno a periodi.
Prima o poi capita che trovi una umana che gli va a genio e allora… Allora per un po’ in questa casa si sta affollati e io vengo sfrattato dal letto. Sembra che dia loro fastidio il mio voler dormire in mezzo, il mio fissarli annoiato e incuriosito quando si muovono sotto le coperte, il mio reclamare, sul più bello, la razione di crocchette. Ecco, se non fosse che dopo il mio umano si tranquillizza non sopporterei questo trattamento e con un paio di graffiate rampanti come si deve ristabilirei l’ordine.
Quando torniamo soli il mio umano ricomincia il suo vivere distratto e devo intensificare la sorveglianza. Per tenerlo concentrato mi sforzo di portare in casa qualche diversivo, di solito una lucertola o un topino vivi e vegeti, che si muovano fra muri e pavimenti, in modo che lui faccia del moto e allo stesso tempo sia costretto a coordinare pensiero e azione per inseguirli, prenderli e buttarli fuori. È una faticaccia per me, che preferirei stare sdraiato al sole tutto il giorno piuttosto che andare ad importunare altre creature. Lo faccio solo per lui, per l’umano, che già è strano, se non gli sto dietro è un umano strano e perso.
Se non ci fossi io a ricordargli che le tende vanno anche lavate qualche volta… Certo, lo faccio a modo mio, se poi le tende si rompono sotto i miei artigli pazienza, non ho altro modo per spiegarmi. Lo stesso vale per i tappeti. Lui è allergico alla polvere, non se lo ricorda mai e i tappeti sono pienissimi di polvere. Vorrei che li buttasse via, per questo, a differenza delle tende che non vorrei rovinare ma ci sono costretto, i tappeti li distruggo volontariamente un po’ per volta. Ma lui non capisce, santa pazienza.
Dovrei regalargli un pezzettino anche piccolo della mia intelligenza, giusto per poterci intendere. Perché nonostante tutti questi anni a volte ancora non ci capiamo. Cioè, lui non capisce me, mentre io è da un pezzo che lo so che il mio umano è strano. Non per niente l’ho degnato della mia attenzione.
Con lui ci si diverte. Nonostante l’impegno che mi dà, o forse proprio per questo, non ci si annoia mai. Magari si dimentica di comprarmi le crocchette, ma poi mi regala metà del suo pollo arrosto, che consumiamo sul tavolo allo stesso modo, senza posate. Io non mi formalizzo, un umano ben tenuto non porta mica malattie, e il mio pulito lo è. Specie se ha nell’aria un appuntamento con una umana, sta ore a lisciarsi il pelo sotto la doccia, e si rade pure la barba. In questo caso stai sicuro che pioverà.
È matematico.
Io mi rassegno a non vedere per un po’ il sole e a essere sfrattato dal letto da una estranea.
Arriverà il momento in cui anche io troverò la gatta che fa per me, e allora vedremo di chi è il letto!
Devo dire però che per quanto sia strano, o forse proprio per questo, con il mio umano io ci sto bene. L’ho deciso quando ero un cucciolo che era fatto per me e anche se invece lui pensa di avermi trovato e scelto, è esattamente il contrario.
Per lui sopporto il disordine e il via vai di umane, tanto il disordine resta e io ci ho fatto l’abitudine, ma le umane se ne vanno e noi torniamo soli e felici. Tanto è vero che quando è notte e ci abbracciamo stretti sul lettone cominciamo a ronfare entrambi come due trattori in un concerto di serena beatitudine. Io gli massaggio la pancia con le zampe, lui mi regala buffetti in testa e se proprio non è del tutto addormentato anche qualche grattino sotto il mento.
Nessuno meglio di noi.
Nessuno più strano di noi.