Campovolo 2015, L’emozione conta
L’amore conta, l’amore conta, conosci un altro modo per fregar la morte?
L’amore conta, sì, è vero. Il titolo di una delle più belle canzoni di Luciano Ligabue dice tutto. Ma anche l’emozione conta. La vita è fatta di emozioni. Di momenti speciali, di giorni particolari, di esperienze vissute all’insegna del divertimento e della leggerezza e che poi, invece, si trasformano in una tale tempesta di sensazioni intense che diventa difficile non sentirne gli effetti anche a distanza di tempo. Ho voluto lasciar decantare, non raccontare a caldo di questo Campovolo, per evitare che le immagini e le parole fossero ancora troppo intrise di adrenalina da rock. Ma il distacco è complicato, anche un mese dopo, per chi c’era. 19 settembre, Reggio Emilia, la grande festa del Liga, per i 25 anni di carriera. Chi c’era sa.
Io non so se esiste il concerto perfetto. Ma so che sul piano dell’emozione pura, per chi ama la musica, il pop rock e Ligabue in particolare, questo evento ci è andato certamente vicino
Insomma, lo avete già capito: ciò che state leggendo non è una recensione tout court, un mero resoconto, una disamina tecnica degli aspetti musicali o organizzativi, di cui pure vi accennerò; piuttosto, è il racconto di una emozione vista dalla prospettiva di un appassionato. E passata attraverso trecentomila orecchie e trecentomila occhi, sugli sguardi di una marea umana incantata, sulle storie, simbolicamente, di ciascuna delle 150 mila persone che in un weekend emiliano di settembre, ancora caldo ed estivo, hanno voluto esserci, in quello che doveva essere l’appuntamento dell’anno, forse della Storia, non solo per Ligabue ma per l’intero panorama musicale italiano.
150 mila persone non è un semplice pubblico presente ad un semplice concerto. 150 mila persone sono un mondo. Una moltitudine di storie individuali, tutte diverse, tutte spinte dalle proprie personali motivazioni per essere lì, che formano, per un giorno, una unica grande, indistinta, variopinta coscienza collettiva che si ritrova intorno a un artista.
D’altra parte, un motivo ci sarà. Se c’è gente che arriva una settimana prima, che dorme in tenda, che entra alle tre del pomeriggio del giorno prima, il venerdì, e passeggia per la “Liga Street”, la lunga pista di questo piccolo aeroporto dismesso di Reggio Emilia lungo la quale vengono allestiti negozi, bar, punti di ristoro, sale in cui si ripercorre, attraverso immagini e video, la carriera artistica e musicale di Luciano Ligabue.
Un motivo ci sarà se migliaia e migliaia di persone, di ogni età e provenienza, entrano alle 9 del mattino al Campovolo. Il concerto sarà alle 20,30, loro entrano alle 9. E fa caldo, eh. E dire che molti non hanno potuto esserci, come testimoniano i tantissimi messaggi sulla Fan Page del rocker all’insegna del “beati voi, io avrei voluto ma non posso“. A costoro, il Liga rivolgerà un saluto affettuoso all’inizio del concerto. Sembra proprio un padrone di casa che saluta affettuosamente gli assenti alla sua festa, consapevole che tutti avrebbero voluto esserci davvero.
150mila persone sono un mondo. Una moltitudine di storie individuali che formano, per un giorno, una unica, grande, indistinta eppure variopinta coscienza collettiva che si ritrova intorno a un artista.
La sera prima, noto persone che cercano biglietti di quei settori, i cosiddetti Pit A e Pit B, che sono esauriti da tempo: i più vicini (si fa per dire) al palco. Qualcuno mi racconta di aver deciso all’ultimo momento, perché pur essendo una grande fan del Liga non aveva avuto modo di organizzarsi per tempo. E ora vuole assolutamente vivere il concerto insieme ai suoi amici del cuore. Una ragazza viene da Catanzaro, 1.200 km fatti in treno. Non ha biglietto, ma ha un uomo accanto cui vuole assolutamente stare, per questo concerto. Mi racconta di avere fatto un giro folle, per andare in ospedale, a piedi, a ritirare un biglietto reperito attraverso annuncio su Facebook da una ragazza che aveva avuto un incidente il giorno prima ed era quasi più addolorata di doversi perdere Campovolo che di essersi fatta male.
Ci sono i giovanissimi, i giovani, ma anche gente attempata. Ligabue è davvero transgenerazionale, e lo cogli proprio nelle facce così diverse che scorgi tra il suo pubblico. Mi chiedo perché tutta questa gente, me compreso, abbia deciso di spendere soldi e tempo, affrontando anche fatiche fisiche non indifferenti, per un concerto. Abbiamo tutti i nostri problemi, più o meno seri; qual è la leva che dai posti più disparati d’Italia (e qualcuno anche dall’estero) ci porta fino a Reggio Emilia? Al massimo, posso avere le mie personali risposte, figuriamoci se conosco quelle di 150 mila persone. Una cosa però la so, e credo valga per tutti, è sempre quella: abbiamo bisogno, tutti, dai 10 ai 100 anni di età, di emozioni sane. La musica, vivaddio, lo è.
Il giorno dopo me la prendo abbastanza comoda. Entro intorno alle 16. Guardo tutto e tutti quelli che posso, immagazzino immagini e sensazioni. Bevo una birra e uso un tovagliolo, tutto rigorosamente marchiato col merchandising ufficiale. C’è la Musica, c’è l’Arte, c’è la Passione, tutto rigorosamente in maiuscolo. Ma, forse giustamente, c’è anche O’ Business. Pare che mettere in piedi il Campovolo sia costato tra i 5 e i 6 milioni di euro. Ne ha fruttati 7 e mezzo solo di vendita biglietti, senza contare le attività commerciali connesse. Niente male.
Soprattutto guardo le facce, perché a me, ormai lo sapete, piace cercare le emozioni dentro e fuori. Vedo gente che si bacia distesa sui prati, sono in decine di migliaia ad essere sdraiati sull’infinita distesa dell’area. Qualcuno continuerà a baciarsi anche durante tutto il concerto, qualcuno mischia passioni di tipo diverso, e sembra che la somma dia un risultato decisamente… incandescente, pazienza se il pudore, per una sera, resta a casa. Smartphone e fotocamere, immancabili, immortalano foto ricordo, istantanee del giorno dei giorni. Tutto sembra sereno; facciamo tutti quanti ore di code sotto il sole per entrare, nessuna tensione, nessun incidente. Mi piace questo clima, è stato bravo chi ha organizzato e messo in moto questa macchina ciclopica, ma anche quei 150 mila, evidentemente, hanno solo voglia di divertirsi, in serenità. Le ore passano, inizio ad essere stanco, addento un panino con un prosciutto crudo che non rende giustizia ai salumi emiliani, ma tant’è, capisco che è difficile pretendere di meglio in quelle condizioni. Mi stendo un po’ anch’io: ormai manca poco.
“Vogliamo fare una grande festa. Il primo disco compie 25 anni, Buon compleanno Elvis ne fa 20, sono trascorsi 10 anni dal mio primo Campovolo. Festeggeremo tutto questo e sarà il mio concerto più lungo di sempre“.
Questo aveva detto Luciano, in sede di presentazione dell’evento. Ripenso a queste parole alle 20,25, quando sta per iniziare. Ed oggi posso dirlo, senza alcuna remora di smentita: è proprio così che è andata, è stata una grande festa. Imponente sul piano materiale, in ogni singolo aspetto, basandosi su una macchina organizzativa mostruosa per dimensioni ma in cui ha funzionato tutto alla perfezione: 70 metri di palco, 780 metri quadri di un unico megaschermo concavo (il più grande mai realizzato in Italia), un impianto luci poderoso, quello audio ancor di più, con casse potenti e imponenti posizionate in tutta la sconfinata area del concerto per garantire un ascolto ottimale. Sono apparsi lontanissimi i problemi del primo Campovolo, nel 2005, dove un guasto all’amplificazione impedì a una parte del pubblico, tra cui il sottoscritto, di ascoltare il concerto nel modo giusto.
Tre ore e tre quarti di canzoni quasi senza interruzioni, un ritmo incalzante e crescente, una cascata di rock e adrenalina prodotti a profusione.
Tre band di musicisti straordinari ad accompagnare il Liga in altrettante fasi del concerto, che simboleggiano le tre fasi della sua fortunata carriera fin qui: la prima, coi ClanDestino ad accompagnarlo nella esecuzione integrale del primo album, Ligabue, con cui l’allora sconosciuto ragazzo di Correggio fece il suo esordio sulla scena musicale italiana. Un album pieno zeppo di gemme preziose, che continuano ancor oggi ad essere delle hit, in termini di vendite, di passaggi radio e naturalmente dal vivo. Se può interessarvi, la preferita del sottoscritto, forse per ragioni generazionali, in questa parte di concerto, è Non è tempo per noi. “Non è tempo per noi, che non ci adeguiamo mai…”
Il Liga ha voluto una speciale attenzione ai dettagli e alla memoria storica: così, durante Piccola stella senza cielo, ha inserito, con autentici virtuosismi vocali e strumentali, le citazioni di alcuni dei suoi pezzi preferiti, Riders on the storm, Knockin’ on heaven’s door, See me feel me, Because the night e Gloria, arricchita col sax di Emiliano Vernizzi che lo suonerà anche in Sogni di rock and roll.
Sul megaschermo, intanto, passavano i contributi che si snodano tra passato e presente, tra regia live e immagini d’epoca, emozionando e scuotendo sia chi ai tempi ebbe la fortuna di assistere a quelle prime esibizioni, sia chi addirittura nemmeno era nato.
quella che per me è stata l’apice del concerto: Quella che non sei. Una delle canzoni in cui il proverbiale animo femminile del cantautore emiliano trova maggiore spazio
Anche in questo secondo set non mancano ospiti che diedero il loro contributo in fase di registrazione del disco: Max Lugli all’armonica e Pippo Guarnera all’organo Hammond.
Luciano, intanto, gioca a cambiarsi d’abito numerose volte, ripescando alcuni abiti usati nei videoclip dell’epoca. L’autoironia non fa difetto alla nostra rockstar, che infatti sottolinea come alcune camicie siano il “massimo della tamarraggine”. Per inciso: non ha tutti i torti…
Sono già passate due ore e mezza, in cui i 150 mila del pubblico, dopo essersi sobbarcati attese e lunghe file per entrare, hanno urlato, cantato e ballato senza fermarsi un attimo. Eppure non sono ancora stanchi, anche perché Il meglio deve ancora venire, come recita la canzone che il Liga canterà di lì a poco: una raffica di pezzi, antichi e recenti, che rendono l’energia di Campovolo davvero incontenibile, da Non ho che te, a super classici da live come Urlando contro il cielo e Tra palco e realtà, lasciando spazio all’intensità emotiva di un padre rivolto alla figlia in A modo tuo (ultimo singolo) o a quella che Ligabue ha sempre definito una canzone d’amore dedicata al suo Paese: Buonanotte all’Italia, proposta con lo sfondo sul maxi schermo delle foto di alcuni personaggi che hanno segnato storicamente e artisticamente il nostro Paese, alternati a persone care venute a mancare nella vita personale e musicale dell’artista, come suo padre Giovanni, Gianni Iotti – il protagonista di Lettera a G -, l’amico giornalista Stefano Ronzani, il produttore Angelo Carrara – determinante all’inizio di carriera perché investì del suo credendo moltissimo nel Liga – e il musicista Paolo “Feiez” Panigada, che seguì le fasi di realizzazione del primo album suonando vari strumenti e occupandosi della produzione e del mixaggio.
una canzone che è stata di aiuto in qualche modo per tanti di voi: Il giorno di dolore che uno ha.
Il concerto perfetto si chiude con un pezzo tratto dall’ultimo album in studio, Mondovisione, Con la scusa del rock and roll, che contiene parole che la dicono lunga su cosa sia la musica per il suo autore, la passione, la vitalità incontenibile e quell’ombra di morte dietro le quinte, presente ma esorcizzata:
con la scusa del rock’n roll ho rimandato tutti gli anni a più tardi, cercando di ballare sopra i ricordi con il volume come fossimo sordi… con la scusa del rock’n roll andare avanti con le vecchie illusioni i vecchi sogni in una nuova versione, sbattendo ancora contro certi portoni e certe sere con te di fronte e certe note venute su, devo soltanto pensare a niente provare solo a non morire più…
Ed ecco apparire uno spettacolo suggestivo di fuochi d’artificio che illumina a giorno una notte magica, con le sue 3 ore 45 minuti di spettacolo e la carica della marea umana che Liga ringrazia con questo pensiero:
“Ricordo che prima di fare il cantante pensavo che 25 anni nella musica fossero un’infinità. Ad esempio: i Beatles hanno fatto i Beatles per 10 anni. Vivendoli però mi sono veramente volati, credo che sia stato per l’intensità con cui li ho vissuti e quindi un’intensità difficile da raccontare. Ovviamente non è stato tutto rose e fiori. Quando ho avuto i momenti più duri – credetemi ce ne sono stati più di quanti voi non pensiate, perché la vita e il dolore non si misurano solo col metro del successo – io ho sempre potuto sapere una cosa: che potevo contare su di voi e questa è stata una costante di questi 25 anni. È per questo motivo che se la Pennetta, dopo aver vinto i Master decide di ritrarsi, io dopo il mio Campovolo non decido di ritirarmi perchè – e ci tengo che lo sappiate – se io posso contare su di voi, voi potete contare su di me“.
Io non avevo mai visto un concerto di Ligabue…i suoi occhi fieri… Carichi di passione… Mai visti in nessun altro… letteralmente conquistata …Mi ha fatta sentire fottutamente libera… libera di piangere, ridere, ballare, cantare a squarciagola! Grazie.