La figlia del mare
Donna del mare. Amò l’acqua appena ne ebbe la sensazione ristoratrice e vitale sul corpo. Sua madre viveva lì, a pochi passi dalle onde. Durante il travaglio tutte le sirene accorsero per darle il benvenuto. Era d’estate, ma la spuma quel giorno non riusciva a stare ferma. Avvolgeva la scogliera, la imbiancava per poi ritirarsi. Sembrava che il mare volesse allungarsi sulla terra per sapere se fosse nata. Il sole brillava in alto e nessuno riusciva a spiegarsi quello strano fenomeno. Il profumo di salsedine invase il piccolo borgo sulla costa e il senso di frescura portato da quella sottile pioggerella marina mise tutti di buon umore. Il ritmo quotidiano, rallentato dall’afa di quei giorni di luglio, prese nuovo vigore. Magicamente una nuova energia contagiò le persone. Fu un giorno di incantesimi. Qualcuno disse di aver sentito i pesci parlare, altri di aver visto bellissime donne dai capelli ramati fare un girotondo nell’acqua in mezzo alla cala. Furono ore sospese, estranee ad ogni logica, ore fuori dalla solita realtà quotidiana. In quel luogo si conoscevano tutti e l’euforia per ogni bambino che si affacciava alla vita era un motivo di festa, d’ allegria.
Quello lo si preparava nei ritagli di tempo, solo di sera, quasi al buio, affinché la dea della vita non lo vedesse. L’ultimo lembo lo si lasciava sempre incompleto, per buon augurio. Un filo appeso pronto per essere tirato così da sciogliere tutti i nodi che tante lacrime erano costate per confezionarlo
Non avrai nulla da mettergli se nasce maschio, le dicevano. Sono cose che non si fanno, mai nessuna l’ha fatto. Rispondeva sorridendo, e sentiva ridere anche la piccola sirena che intanto nuotava nella sua pancia. Furono nove mesi di nenie e parole dolci, nove mesi di passeggiate sulla sabbia. Le giornate corte dell’inverno passarono in fretta. La primavera arrivò regalando nuovi colori alla collina che scendeva fino all’acqua. Fiori bianchi e gialli si aprirono al nuovo tepore, ed il mare si tinse di azzurro. Con l’arrivo dell’estate il tempo si stava compiendo, la stanchezza affiorava di tanto in tanto, ma il viso di sua madre non era mai stato così bello. Quella mattina, all’alba, sentì rumore sulla scogliera, una dolce ninna nanna si levava nell’aria. Capì che il mare stava reclamando quella figlia. Si preparò ed attese, come se non avesse mai fatto altro nella vita che partorire bambini.
Pianse forte, respirò aria e acqua salata. La copertina di lino bianca ricamata con pesci rosa di ogni tipo la avvolse. Suo padre la portò sul balcone a guardare quella massa liquida e scintillante che intanto continuava a fare festa sbattendo sulle rocce. Anche lui aveva finalmente capito che quella bambina sarebbe stata per sempre figlia loro ma anche di quel grande miracolo lì sotto
Sottile e flessuosa divenne una donna. La sua curiosità la spinse lontano dal suo piccolo villaggio, dalla sua famiglia allargata. Portò l’odore del mare e i colori della sua terra ovunque si fermò per imparare, per saperne di più. Sperimentò il dolore, le delusioni, Imparò a sue spese che non sempre chi fa una promessa si ritiene vincolato alla parola data. Si innamorò follemente e si disamorò lucidamente quando riconobbe la pochezza nell’altro. Seppe di guerra e di pace, apprese la bulimia dei ricchi e la generosità dei poveri, assorbì la paura dei deboli, restituì schiaffi sonori ai prepotenti. Pronunciò molti no, apprezzò la forza di un sì detto al momento giusto. Fu certa di quel sì, quando riconobbe negli occhi di un giovane riccioluto gli stessi di suo padre quando osservava la madre di spalle, credendo di non essere visto e quando sentì bruciarle l’anima esattamente come succedeva a sua madre quando incontrava suo padre per le vie del paese. Erano stati compagni di studio, stavano per diventare compagni di vita.
Almeno per qualche mese, gli disse, ho bisogno di vivere lì. Sento la mancanza anche delle alghe che marciscono sul molo
Si sistemarono nella stanzetta in cima alle scale, quella da cui vedeva il faro ogni sera prima di mettersi a dormire. Per i suoi fu una gran festa riaverla in casa e fecero uno sforzo di modernità a lasciarli insieme, nella stessa casa, nella stessa stanza, nello stesso letto. Riassaporò la pace di quel luogo dell’anima, i ritmi lenti, i rumori essenziali, i sorrisi familiari, il calore spontaneo. Incontrò i vecchi amici, si informò dei loro progetti, si entusiasmò come da bambina quando seppe dell’idea di creare un’oasi marina protetta. Portò quel ragazzo che la guardava con gli occhi di suo padre fino alla sommità del promontorio. Gli raccontò tutto d’un fiato come aveva vissuto in quel posto fino all’ultimo anno delle superiori. Lui si fece stordire d’amore e di chiacchiere, felicissimo per tanta fortuna. Quel paradiso stava diventando anche suo.
Un pomeriggio, quando la mezza sera inizia a coprire il sole, scese a fare una passeggiata da solo. Desiderava iniziare il suo personale rapporto con quel borgo che aveva visto sbocciare la ragazza che gli rubava la vista
Una balenottera di circa otto metri si era arenata incastrandosi fra gli scogli. Più si ribellava e più si feriva, più sbuffava e più perdeva le speranze di ritornare alla sua tribù. La figlia del mare arrivò di corsa immaginando tutto tranne quella scena, aveva l’anima ancora troppo inquinata dalla vita in città. A tutto pensava, ad un omicidio, ad uno stupro, ad una rapina, mai ad una balena. Si rese conto che stava perdendo le sue radici, la sua identità, lei che aveva nuotato come una sirena nella pancia di sua madre. Gli amici le avevano raccontato delle difficoltà di soccorso, che tante tartarughe erano morte in attesa che arrivasse qualche esperto. Ecco, adesso c’era lei, un’esperta appunto. Disse all’uomo con gli occhi di suo padre: Mi tuffo, devo liberarla, tra poco potrebbe morire. Il freddo di febbraio si faceva sentire, ma non ci fu modo né tempo di dirle qualcosa. In mezzo minuto era bagnata fin’oltre la vita, il maglione ormai fradicio le si attaccò ai seni. Prese a molleggiarla con forza spingendola indietro. L’animale la riconobbe, era la figlia del mare e si lasciò aiutare, calmo e riconoscente. Quando i centimetri d’acqua sotto la sua pancia furono sufficienti, fece un paio di giri nello specchio d’acqua per rivolgere un arrivederci ai due ragazzi. Quella sera, l’antico borgo marinaro visse di nuovo di incantesimo.
Dedicato a Debora Di Meo, che vedete sotto in foto, dalla quale ho tratto ispirazione per questo racconto. Le rivolgo la mia più sincera ammirazione.