Presente
I banchi uno dietro l’altro, uno affianco all’altro, tutti seduti, tutti in piedi una sequenza coreografica dettata da altri, studenti diligenti che si alzano all’entrata del professore, composti davanti alla severa autorevolezza di chi è più grande di te.
Tante nuche una dietro l’altra, come qualche anno fa, qualche capello in meno, qualche chilo in più, chi un figlio, chi due, le stesse scarpe, un completo che stringe al collo e che, qualche anno fa, non avremmo messo neanche sotto tortura.
Tutti lì, in un silenzio irreale.
Sguardi bassi, mani strette tra di loro, sotto banco, cuore a mille, come durante gli attimi che precedevano le interrogazioni di latino, tutti con la testa china a cercare una gomma nello zaino, una matita invisibile caduta a terra senza fare rumore.
Gli stessi sguardi bassi, di chi sente quel dito scorrere sul registro, il leggero frusciare del polpastrello sulla carta, di chi ha paura di sentire pronunciare il suo nome quando, in un attimo, tutto cambia… si sente un nome risuonare nella stanza, un nome risuonare in questo luogo austero ed enorme, qualcuno si offre volontario, si lancia, senza paura. Sguardi bassi, come ragazzi che non hanno studiato, che non hanno studiato abbastanza, che non erano pronti per questa interrogazione a sorpresa
Offrirsi volontario ad un’interrogazione, a 18 anni sembra qualcosa di insensato e lì nasce un misto di ammirazione e gratitudine per chi si è offerto, per chi ha pronunciato volontariamente il suo nome per finire davanti alla cattedra.
Come oggi.
Sguardi bassi, occhi gonfi, un sospiro, un battere ritmico di piedi a scandire le parole di chi cerca di rimettere insieme i pezzi di una vita che si è lanciata oltre il muro del conosciuto, di chi cerca di dare un senso a quanto ci sembra insensato, come a diciott’anni, quando qualcuno si offriva volontario alla professoressa di latino.
Una, due, dieci volte, quel nome sembra uscito da un registro con un unico studente, viene ripetuto talmente tanto che ci si aspetta di sentire un “presente” dal fondo della stanza.
E invece il presente è lì, davanti a quella cattedra diventata altare, dove senza parole racconti la tua storia e questa volta sei tu ad interrogare il professore e ad interrogare noi. Sguardi bassi, come ragazzi che non hanno studiato, che non hanno studiato abbastanza, che non erano pronti per questa interrogazione a sorpresa, come se a terra si nascondesse la risposta giusta da dare, da darti, in questo momento sospeso.
Sembra un sogno.
Davanti a quella cattedra, in silenzio, fermi eppure mobili scorrono fotogrammi della nostra stessa vita, risate, pianti, dolore, scelte, un tassello dopo l’altro sembra di vedere tanti piccoli sentieri intrecciarsi gli uni agli altri partendo da quella cattedra, da quell’altare, dove le tue domande silenziose si alzano al di sopra di tutti noi.
E a guardare bene davanti a quella cattedra, oggi, ci siamo tutti, non sei solo, qualche capello in meno, qualche chilo in più, chi con una lacrima a disegnare la via che dagli occhi va alla bocca, chi silenziosamente sofferente, siamo tutti lì a piangere un po’ della nostra vita che viene via con te.