La vita vista dall’alto
Ci sono giornate che iniziano così e finiscono anche peggio. Sono quelle giornate in cui ti svegli con la sensazione che il meglio se ne sia andato assieme al trillo della sveglia. Dici: migliorerà! e invece a mezzogiorno l’unica salvezza ti paiono il piumino ancora caldo di sogni e le lenzuola madide di desideri. Sono giornate in cui il sole splende e la gente, del quale consesso rifiuti di far parte, scalpita già di buon mattino sull’uscio della porta. Padri instancabili spingono senza requie passeggini con bambini ululanti al tenero sole autunnale, madri svestite si fanno ammirare per l’ultima volta, ragazzi più o meno grandi sudano magliette tra pali improvvisati, ragazze svestite come e più delle loro madri che cinguettano svestite e assaporano il brivido della pelle d’oca. Le coppie esplodono, i single garriscono, gli anziani asciugano le ossa prima del grande freddo.
Ma tu, come detto, non sei classificabile. I raggi del sole non superano l’epidermide e dentro fa un freddo boia. Ti punisci con un piatto di pasta scotta in bianco, cerchi un barlume di felicità infilando il naso nelle fioriere, ma non capti alcunché e ti pare, anzi, che le fioriere stesse ti chiedano indietro quel profumo annusato in giornate migliori. Guardi la Tv, ti concentri sulla barba del presentatore che è fatta proprio bene e mette in risalto la bocca che si allarga e si stringe, ma non esce alcun suono e allora alzi il volume, ma è sempre troppo basso per coprire le urla che vengono da dentro. Dove tutto stride e rimbomba. Dove perfino Elvis Presley e la sua Blue suede shoes non possono che arrendersi pochi centimetri oltre il timpano.
Esci con amici, ma sorridono troppo e tutti quegli incisivi in bella vista ti paiono un affronto. La felicità, dici a te stesso, è un sentimento banale. E l’invidia è brutale, aggiungi. Le ore non passano e finisci per inventare una scusa. A casa ci sono un paio di ritratti e diverse fotografie, ma per lo meno nessun sorride.
Ti punisci con un piatto di pasta scotta in bianco, cerchi un barlume di felicità nelle fioriere, ma non capti alcunché e ti pare, anzi, ti chiedano indietro quel profumo annusato in giornate migliori
Poi, quando la luce del sole lascia il posto a quella delle finestre, decidi che il silenzio si è fatto assordante, o forse un tuo antenato ha smozzicato un sorriso. Prendi l’auto e superi i bar grondanti prosecco e tartine, le case illuminate a festa, sfiori un paio di pedoni intontiti da cotanta magnanimità del Signore del tempo, prendi la strada che tu sai e sali su, dove la presenza umana è rarefatta e l’unica luce proviene dalle maestà piazzate nei tornanti da qualche altro disperato un secolo o prima o forse due.
Finché arrivi lassù, dove il mondo è un intreccio di vene di tungsteno. Com’è nervoso il mondo, anche da lassù. Il vento freddo della montagna ti costringe a chiudere un occhio e intanto si fuma la tua sigaretta, le fronde degli alberi stridono e l’erba alta ai lati della strada si inchina religiosamente.
Laggiù, nervoso, elettrico, frenetico, indistinto, c’è il mondo. La vedi la piana illuminata? No. Sei troppo concentrato su te stesso. E così finisci per vederci rappresentata la tua vita, laggiù. Offri un’altra sigaretta al vento e cerchi di districare le arterie luminose nella speranza di trovare la via maestra. Una cazzo di strada, non chiedi altro. Ma è tutto così intricato, infiammato, complicato.
Rientri in auto e i fanali illuminano un corniolo che ti saluta muovendo un ramo dall’alto in basso, dal basso in alto. Un corniolo ti saluta. Un corniolo. Un albero. Un albero che ti saluta. Ridi. Un corniolo, deus ex machina, ti ha strappato una risata.
Ci sono giornate che iniziano così e finiscono anche peggio. Ma in quella selva di luci, dove la diritta via pare smarrita nell’ingorgo elettrico, c’è pur sempre un corniolo a salutarti col suo ramo. E questo al mattino non potevi saperlo. Ed è molto bello.