L’oro di Livorno

Mia nonna Nella, che poi era la nostra bambinaia – ma per noi era una nonna vera – lo diceva sempre: è oro di Livorno, dura un giorno.

Mai si sarebbe immaginata che noi a Livorno di oro ne avessimo anche di più duraturo: i lingotti di Zio Paperone. Eppure, i livornesi sembrano aver deciso. Il tesoro del  papero taccagno uscito dalla matita di Carl Barks deve stare sulle pendici della collina di Montenero, in alto sulla città. Circa un anno fa proprio qui su facciunsalto rivelai in un articolo dedicato alla mia città natale  la fantasia tramandatami dall’amico Lucarelli: per molti giovani, già negli anni ’70, il deposito di Paperon de’ Paperoni era quel cubo aggrappato al monte, ovvero la base del mai realizzato monumento al gerarca fascista Costanzo Ciano. A cosa d’altro poteva essere utile altrimenti quell’enorme parallelepipedo situato in mezzo alla macchia mediterranea?  

 

In molti conoscono la proverbiale visione scanzonata e ludica della vita, tipica dei livornesi. Ma quando ho visto la notizia sul Fatto Quotidiano non ho creduto ai miei occhi. Daniele Caluri, fumettista livornese, creatore del personaggio di Don Zauker e disegnatore per  le strisce di Martyn Mystere e Dylan Dog lanciava la sfida direttamente alle maestranze: in primis il sindaco Filippo Nogarin e l’assessore alla cultura Serafino Fasulo.

E in poco tempo la sua proposta a metà tra il provocatorio e il demenziale era sulla bocca di tutti grazie alla virale campagna su Facebook: migliaia di condivisioni e adesioni, persino una petizione aperta a favore della trasformazione dell’inutile cubo nel deposito di Paperone, da attuarsi  secondo la proposta grafica dello stesso Caluri. Colori fluo, look pop-art, di quel gusto funky che fa arredo metropolitano post-moderno, per un effetto disneyano assicurato.

Il blocco di incolore cemento di cui parliamo, d’altronde, superstite del monumentalismo fascista, è allo stato attuale sede di una discarica. Un luogo dove si va  per svolgere qualche funzione più o meno fisiologica, più o meno appartati e invisibili. Nonostante si goda da là una vista bellissima e ci si trovi in mezzo al bosco marittimo, coloro che vi si recano non devono nutrire interesse per le meraviglie ambientali, a giudicare dallo stato di degrado in cui si trova. Una riqualificazione del territorio non sarebbe biasimabile, al momento della eventuale realizzazione della fortezza-forziere che potrebbe trasformare Livorno nella Paperopoli del ventunesimo secolo.

Come una freccia dall’arco scocca, la notizia corre veloce di bocca in bocca (cit.!), e le polemiche non tardano ad arrivare: Caluri si è trovato in un vero e proprio bombardamento mediatico. Richieste, interviste, critiche, tifo da stadio, commenti a raffica e proposte di collaborazione.

Dai nostalgici del ventennio che ritenevano offensiva la cancellazione della memoria legata ai Ciano, a chi lo accusava di voler creare un ecomostro, o peggio ancora di inneggiare al capitalismo sfrenato. Passando per chi rivendicava la paternità dell’idea, a chi sapeva come meglio realizzarla, e chi puntava il dito su opere più urgenti da individuare nella Livorno decaduta e decadente degli ultimi decenni. Compresi quelli che già temevano lo sperpero di denaro pubblico per un’idea più assimilabile a una goliardia very livornese che a un opera di utilità socio-ambientale.

Ma Caluri ha dimostrato di avere le idee molto chiare. Intervistato persino da Radio Due, e bombardato dalle richieste di molti (me compresa!, ndA), ha affidato alla sua bacheca facebook le idee e le motivazioni a monte della sua proposta. Dimostrandosi più il creativo lungimirante e cosmopolita, che non il livornese burlone. In sei punti Daniele demolisce i suoi detrattori, affermando di non essere interessato al primato ideologico ma alle sinergie per la realizzazione dell’idea.

Confuta che la costruzione in oggetto abbia qualsivoglia valore storico, e  con esternazione di genuina livornesità: “Il presunto Mausoleo di Ciano non ha nessuna di queste caratteristiche: non storica, non artistica, non religiosa, con l’aggravante che fa oggettivamente caà”. Smarca poi il suo progetto dall’accusa che potrebbe avere un deleterio impatto ambientale, citando  le eredità della pop-art che hanno trovato piena espressione negli arredi urbani o in parchi quali il Giardino dei Tarocchi di  Niki De Saint Phalle, e da quella di apologia del capitalismo, mettendo in risalto la natura caricaturale di Paperone, non per niente ispirato allo Scrooge dickensiano.

E infine, rivela il suo intento primo: il significato dell’operazione artistica è quello di dissacrare un simbolo del ventennio con un’immagine grottesca, innocente, appartenente a un mondo di fantasia, in modo tanto più efficace quanto più l’icona è conosciuta. Mettendo quindi quel simbolo in ridicolo, e svuotandolo di significato. Se mai ne abbia avuto uno, aggiungerei.

Infine Caluri si dice impressionato dal gran numero di persone che si sono offerte di lavorare gratuitamente alla messa in opera del restyling in argomento: così facendo l’operazione avrebbe davvero buone possibilità di essere realizzata a costo zero per la città di Livorno, dice il creativo.

In quanto a rivelarci che cosa si immagina che il forziere possa contenere, Caluri non si sbilancia. “ Anche niente…” afferma. Puro simbolo, quindi.

A me, piace ancora pensare nei termini di questa metafora. I livornesi, come tanti Qui Quo Qua un po’ troppo cresciuti, eredi perfetti di Paperino, vivono la loro città popolare all’ombra del ricco pennuto (così come oggettivamente la Livorno popolare vive ancor oggi all’ombra delle ricche dinastie di armatori e spedizionieri del suo glorioso passato), che si è portato in alto nel suo forziere tutte le ricchezze sfolgoranti che mancano in quella città così poco glamour. Quindi, nel deposito vorrei vederci una mostra di artisti figurativi, creativi, designer che interpretassero alla loro maniera le ricchezze sottratte dal taccagno alla mia città. La mia città popolare, la mia città di bellezze sommesse, come la sua terrazza davanti al mare.