Tormento interiore, persona insapore
“Non sa esattamente cosa sia, ma lo terrorizza. Certe reazioni ultimamente non sapeva nemmeno fossero sue, non le aveva mai provate, non così profondamente, così forti, così strane. Ci aveva pensato milioni di altre volte, ma adesso sente il peso di queste riflessioni. Insopportabile, come probabilmente ci si può sentire quando si è a tanto così da un orgasmo, quasi lo si sfiora ma poi non arriva, si blocca. Ricerca la risposta a quei mille perché, che lo tormentano nelle notti insonni. Da quel giorno in cui, seduto composto, ha sentito il vuoto, il nulla. È restato apatico per più di un giorno perso in quella sensazione estranea, quasi di vita parallela, osservando il mondo che gli stava attorno continuare la sua corsa, ignorando quello che a lui era parso quasi come una rivelazione, che di per sé non voleva dire nulla, perché del niente si trattava. E continuamente, ora il flusso dei pensieri lo conduce sempre inesorabilmente a quello che si deve sforzare di allontanare per ricominciare a respirare dopo essersi accorto di essere in apnea. Non ha trovato il suo posto nel mondo, non capisce perché è stata concepito. Sa solo che non vuole morire. Non riesce ad immaginare la sua anima all’esterno del suo corpo. Sente il cuore stretto in una morsa e una smorfia di dolore profondo, impercettibile all’occhio umano, gli accarezza il volto, mentre pensa a tutto questo urlando dentro “un motivo ci deve essere anche se non riesco a capire qual è”. Immobile fissa il soffitto, spinge quel pensiero ogni volta sempre un po’ più in là, sperando di raggiungere prima o poi la verità, e la serenità.
Quante volte ho sentito dire “me lo sentivo”? Tante. Anche a me è successo di cominciare la giornata in preda a questa sensazione strana, come se mi aspettassi di vedere succedere qualcosa da un momento all’altro che solo il mio inconscio potrebbe riconoscere, e mi piacerebbe poter credere che è da questo sesto senso che spesso nasce l‘ispirazione: una pagina scritta in più, una poesia, una canzone, un disegno, una torta, un chilo di biscotti, un’opera di qualsiasi genere (compresa un’opera pia), basterebbe impegnare la mente, o liberarla e produrre qualcosa trasformando queste sensazioni-emozioni in qualcosa di buono.
Ho sentito dire che le migliori opere d’arte sono nate dal bisogno di far confluire il dolore dell’artista in qualcosa che si traduce nel prodotto di trasformazione della sofferenza in arte: ci rifletto ancora un minuto e, forse sì, sarà anche così, ma c’è anche chi riesce a creare con il cuore sereno, circondato da gioia e tranquillità no? Provo a scriverlo per crederci, ma fatico ugualmente. Il tormento interiore è madre (o padre, come si preferisce) della creazione. Poi, che il tormento sia positivo o negativo nel suo essere, è soggettivo. Una persona può anche semplicemente sentire questa ispirazione che spinge dall’interno e che la muove a tal punto da mettersi al lavoro, e non è detto che debba per forza essere una spinta dettata dalla sofferenza. Onestamente, al momento, riconosco che mi soffermo di più a ricercare stimoli di creazione quando la nuvola grigia si parcheggia sopra la mia testa, perché altrimenti sarei troppo occupata a vivermi la felicità. Anche se ciò che si sta vivendo potrebbe essere ugualmente spiritualmente appagante, la sensazione di gioia da sorrisi continui in stile personaggi instupiditi non è sicuramente paragonabile a quel mattone che ti tiene seduto alla scrivania a porti domande sul perché della vita e ad accarezzare il cane mentre sorseggi un tè caldo, seduti vicino alla finestra con lo sguardo perso nel vuoto che trapassa i pochi centimetri di neve caduti nella notte, a tua insaputa. Non mancherà chi ha l’interesse di creare per raccontare le magiche imprese della vita o che so io, ma al momento, ciò che tiene occupate le giornate è il porsi domande su qualsiasi argomento e il meditare per trovarne le risposte.
La nuvola grigia parcheggiata se ne sta lì. Ha tutto il tempo del mondo, tanto che non gliene frega se poi ti fa cadere in una sorta di apatia. Infatti, ti risulta difficile anche solo scrivere di queste situazioni perché non ne vedi lo scopo, non ne capisci il motivo, però lo fai lo stesso perché sentire il tic tac della sveglia appesa al muro che ti scandaglia secondi come proiettili a ripetizione non è piacevole e piuttosto ti concentri sul foglio bianco da riempire. Scrivere inventando storie carine non è, di questi tempi, nelle tue corde perché… non sai bene perché però lo senti dentro. Forse è dovuto a quell’apatia che ti morde da un po’ e ti infastidisce dover inventare o reinventare storie che tanto non accadranno mai e ti servono solo da rifugio per desideri inespressi e sogni inesauditi. Magari un tempo, al liceo, ci si dedicava a scritture fantascientifiche di amori platonici, ma ora no. Quindi ti “limiti” a filosofeggiare (come fosse questo poi quello che stai facendo) Ho sentito dire che le migliori opere d’arte sono nate dal bisogno di far confluire il dolore dell’artista in qualcosa che si traduce nel prodotto di trasformazione della sofferenza in arte
Tornando all’apatia senza sapore. Senza sapore. A volte le persone vengono definite senza sapore. Quando si è preda dell’apatia si diventa insipidi? Non credo, perché se fosse così cosa servirebbe per ridonare il gusto a tutto? Non sono sicura sia già stato inventato il dado senza glutammato monosodico per condire gli esseri umani, se mi sbagliassi però avvertitemi. Se fossi senza sale per un periodo in cui la sofferenza è diventata indolenza per non dover sopportare altri tormenti che genererebbero solo prodotti a sfondo negativo, allora sarebbe una prospettiva alquanto poco allettante. Diciamo che piuttosto potrebbe essere vista come una deviazione temporanea dall’originale gusto saporito per necessità della casa produttrice che sciopera per un po’: il cervello o il cuore? Forse entrambi, di comune accordo, giusto per non fare torto a nessuno se non a te che ne subisci le conseguenze. Il condimento poi arriva sempre: un po’ di pepe ed inizi a pizzicare come prima, peperoncino magari così fai un altro passo avanti. Ricomincerai ad ispirare interesse e qualcuno vorrà assaggiare la tua consistenza, sapere di che pasta sei fatta, finché arriverà l’ennesima sofferenza (piacevole o meno che sia) che porterà a creare di nuovo. Un giorno.