Uscendo dal bozzolo, mi chiameranno farfalla
Ecco, ancora uno sforzo… Mi faccio largo dall’apertura, sto uscendo dal bozzolo: metto fuori prima la testa, poi tutto il resto. Tra un po’ allargherò le mie ali nuove di zecca e catturerò il sole. Sono rinata, per l’ennesima volta ho cambiato pelle e forma e adesso sono finalmente me stessa, quello che da sempre sapevo che sarei diventata. Gli umani, che hanno l’abitudine di dare un nome a qualsiasi cosa, mi chiameranno farfalla.
Può sembrare assurdo che io sappia questa cosa, nessuno può avermela suggerita, ma è così. Lo so. Io sono una farfalla, adesso.
Prima no, prima ero un’altra cosa. Ero io, ma non lo ero. Perché la mia vita è una continua metamorfosi e ogni volta sopravvivere è un’avventura.
Cambiare pelle e forma impegna gran parte della mia vita, ma non sono un’opportunista, come certi umani. O meglio, forse qualche assonanza ce l’abbiamo, noi e loro. Anche loro mutano spesso pelle, e non solo per necessità, ma anche secondo convenienza.
Per un umano cambiare opinione, adattarsi alla situazione e all’interlocutore, sembra essere addirittura un gioco, di certo un’attività meno faticosa di quanto non lo sia per me.
Affari loro.
Distendo le ali. Non devono fare pieghe strane, potrebbero restare deformi, inoltre devono asciugarsi bene per consentirmi il volo.
Sono bellissime. Quanti colori, dopo il chiaroscuro del bozzolo! Sono perfetti per la mia prossima missione, quella di adattarmi ai colori del mondo.
Non mi sono mai chiesta perché debba fare tutta questa fatica per diventare bella. Perché devo nascere brutto bruco e morire farfalla meravigliosa, passando per uno stato sospeso di crisalide?
Non lo so. Una ragione forse ci sarà, ma io non la conosco.
Quello che so è che mi è toccata una vita breve, ma intensa e ricca di trasformazioni. Ricca di esperienze. Ricca di punti di vista diversi. Anche faticosi, certo, ma alla fine il premio sono queste ali, con cui andare incontro al cielo. Mica è poco, per una che nasce strisciando.
alla fine il premio sono queste ali, con cui andare incontro al cielo
E poi c’è un’altra grande soddisfazione.
Gira una storia fra di noi, fin da quando siamo ancora nell’uovo. Dice che quando saremo grandi e belle il nostro battito d’ali, così insignificante a prima vista, in realtà non lo è affatto: potrebbe provocare perfino un uragano dall’altra parte del mondo. A dimostrazione che nulla è veramente inutile.
È una grossa responsabilità per noi! E ci fa sentire importanti tanto quanto l’umano. Che a quanto ne so è assai meno prevedibile di un uragano agli antipodi, ma molto più distruttivo. Certi suoi comportamenti sono proprio inspiegabili. Anche nei nostri confronti, per dire. Come quella orripilante abitudine che hanno alcuni di loro di catturarci e crocifiggerci con gli spilli. Mi vengono i brividi solo a pensarci e mi si rattrappiscono le ali. Che orrore!
Non basta che la nostra casa di seta venga saccheggiata per ricavarne il filo, giudicato prezioso; non basta la strage di piccoli bruchi indifesi, anche da adulte non stiamo tranquille.
Ecco, sono pronta per il mio primo volo. La mia vita nel suo ciclo naturale durerà un niente nell’economia della natura. Ma in questo niente io e le mie compagne avremo la nostra utilità. Voleremo di fiore in fiore, favorendo la riproduzione di tanta bellezza. E sarà difficile distinguere un fiore colorato dai disegni delle nostre ali. Non per niente per qualcuno siamo fiori volanti.
Mi piace così tanto essere un fiore volante.
Non ne faccio un vanto, ma ne sono contenta. Perché per arrivare a questo ho alle spalle un passato da umile bruco. La bellezza me la sono guadagnata, ma farò il possibile, per il tempo che mi resta, perché non sia fine a se stessa. Darò il mio contributo all’ecosistema lavorando, sia pure piacevolmente, senza sosta. Devo gustarmi ogni attimo, che tanto sarà sempre troppo breve.
E devo stare anche attenta. Non sia mai che un mio movimento brusco scateni l’iradiddio al di là dell’oceano.
La vispa Teresa
avea tra l’erbetta
A volo sorpresa
gentil farfalletta
E tutta giuliva
stringendola viva
gridava a distesa:
“L’ho presa! L’ho presa!”.
A lei supplicando
l’afflitta gridò:
“Vivendo, volando
che male ti fò?
Tu sì mi fai male
stringendomi l’ale!
Deh, lasciami! Anch’io
son figlia di Dio!”.
Teresa pentita
allenta le dita:
“Va’, torna all’erbetta,
gentil farfalletta”.
Confusa, pentita,
Teresa arrossì,
dischiuse le dita
e quella fuggì.