Voleva insegnarle a crescere. Con una Barbie
creare una bambola che consentisse alla figlia di sperimentare le esperienze dell’adolescenza e della giovinezza, ma a una distanza di sicurezza.
Tutte le bambine nate dopo il 9 marzo 1959 – giorno in cui la bambola fu presentata alla fiera annuale dei giocattoli a New York – ne hanno avuto almeno un esemplare. Per alcune è stata un’inseparabile compagna di avventure, per altre un ninnolo da lasciare sulla mensola: perché Barbie è stata – ed è – tanto amata quanto odiata. Fin dall’inizio ne sono stati criticati l’aspetto troppo frivolo e il fatto che spingesse le bambine a comportarsi come se avessero più anni della loro età. Poi è arrivata la polemica sulle misure della bambola: irrealistiche, troppo minute, al limite dell’anoressia. Secondo uno studio se una donna avesse avuto in proporzioni umane le stesse misure di Barbie, le si sarebbe staccato il collo perché troppo sottile, sarebbe stata senza stomaco e senza buona parte degli organi interni posizionati nella cavità addominale per mantenere il vitino da vespa, e non avrebbe potuto camminare per via delle caviglie troppo sottili. Inoltre non avrebbe potuto procreare e partorire, perché priva dei buchi necessari.
Quelli della Mattel nel 2000 hanno così pensato di tacitare le lamentele creando una versione di Barbie più simile alla reale natura femminile, la Belly Button, dotata di fianchi, ombelico e con un rapporto gambe-tronco meno sproporzionato. Eppure, proprio in quegli anni, il mercato delle bamboline si è riempito di irrealtà: sono arrivate le Bratz e le Winx, in confronto alle quali, almeno fisicamente, Barbie è ancora un modello sano.
In pochi forse sanno che a inventare la Barbie è stata una donna. Ruth Handler si fece venire l’idea osservando giocare la figlia Barbara. Ruth notò due cose: che la bambina non amava rivestire il ruolo di mamma e tendeva a scansare quindi i classici bambolotti con il biberon; che durante i ritrovi con le amichette la piccola tendeva a riprodurre situazioni future, quindi ancora non sperimentate: il college, i fidanzati, la moda e il lavoro. Fu così che arrivò l’illuminazione: creare una bambola che consentisse alla figlia di sperimentare le esperienze dell’adolescenza e della giovinezza, ma a una distanza di sicurezza. O, più concretamente, sul tappeto di casa.
Dalla sua creazione Barbie ha svolto ben 150 professioni, spaziando dall’astronauta all’infermiera e alla maestra. Secondo il team che ne ha curato lo sviluppo, doveva essere una sorta di suffragetta per le bambine, un esempio di come la donna possa fare e ottenere tutto ciò che vuole. Sulla questione ci sarebbe parecchio da arguire, ma il passaggio dal gioco femminile inteso come fare la mamma o fare la massaia al rampantismo di Barbie è stato epocale. E non solo perché ha consentito a molte future donne di concepire l’emancipazione, ma anche per l’aver facilitato un meccanismo di proiezione e identificazione: vivere avventure con la testa e non con il corpo.