Era il 1994, erano i Portishead con Glory Box
Nel 1994 il Brasile vinse la Coppa del Mondo , Kurt Cobain si suicidò con un colpo di fucile e venne aperto il Tunnel della Manica. Era il 1994 e in Inghilterra predominava l’esuberanza del Brit-pop che aveva puntato i riflettori sui popolarissimi Blur e Oasis. Era il 1994 e dai sobborghi di Bristol nasceva un nuovo movimento, una sorta di antidoto all’euforia di quel genere che iniziava a stancare. Era il 1994 e incominciarono a formarsi i primi gruppi Trip-Pop. Un genere figlio di molti generi. Musiche che spaziavano dal Soul all’HipHop , dal Jazz al Rock Psichedelico, dalla musica elettronica al Dub, dal Funk all’House inglese.
Tutto confluiva a creare un’atmosfera cupa. Perfetta colonna sonora a quelle grandi e ormai decadenti città di fine anni novanta. Il seducente gioco tra toni caldi e basi oscure, talvolta oniriche, che si dissolvono nell’aria intense, ma leggere. Era il 1994 e nella classifica dei migliori album di tutti i tempi al 419° posto spunta “DUMMY” dei Portishead.
Il nome del gruppo proviene dall’omonima cittadina di Portishead, vicino Bristol, in cui Geoff Barrow, mente e fondatore della band trascorse la giovinezza.
Dummy è senza dubbio il miglior album, non solo del gruppo, ma di qualsiasi altra cosa prodotta dai loro colleghi del Trip-Pop. Genere molto discusso e controverso, che nel duemila fu etichettato come pacchiano, musica da lounge bar o “music dinner party”, a tal punto da spingere Geoff a prenderne per sempre le distanze. Era il 1994 e io ero troppo piccola per essere invitata a cene o a feste eleganti, ma ora mi sembra di riconoscere l’influenza di Dummy e di quel TripPop in alcuni più recenti e famosi album, come in ‘Back to Black’ di Amy Winehouse.
Anche se il genere risulta essere tutt’ora molto ambiguo, Dummy è indiscutibilmente un album eccezionale. Sperimentazioni moderne legate ad un nostalgico passato. Atmosfere romantiche e thrilling, musiche retrò con l’utilizzo di un organo hammond, giri di chitarra che ricordano gli spaghetti-western anni ’60, sintetizzatori “mood” e la modernità di sample e scratch utilizzati in modo massiccio. Tutto per rendere quest’album un classico senza tempo. Ogni brano ha in comune la stessa tavolozza musicale, ma ogni canzone sembra diversa, completa, varia, memorabile. Ogni pista è un entità autonoma. Non esistono riempitivi.
Se dovessi stilare la classifica delle canzoni più sensuali, questa dei Portishead sarebbe senza dubbio la mia prima scelta:
Glory Box
I’m so tired of playing / Sono così stanca di giocare
Playing with this bow and arrow / Di giocare con questi arco e freccia
Gonna give my heart away / Darò via il mio cuore
Leave it to the other girls to play / Lo lascerò alle altre ragazze per giocare
For I’ve been a temptress too long / Perché sono stata una tentatrice troppo a lungo
Just, Give me a reason to love you / Solo, dammi una ragione per amarti
Give me a reason to be / Dammi una ragione per essere
A woman / Una donna
I just wanna be a woman / Voglio solo essere una donna
From this time, unchained / Da questo momento, scatenati
We’re all looking at a different picture / Stiamo tutti guardando un quadro diverso
Through this new frame of mind / Attraverso questa nuova forma mentale
A thousand flowers could bloom / Un migliaio di fiori potrebbero sbocciare
Move over, and give us some room / Spostati, e lasciaci un po’ di spazio
Yeah / Sì
Give me a reason to love you / Dammi una ragione per amarti
Give me a reason to be / Dammi una ragione per essere
A woman / Una donna
I just wanna be a woman / Voglio solo essere una donna
So don’t you stop, being a man / Quindi non smettere, di essere un uomo
Just take a little look from our side when you can / Solo guarda dalla nostra parte quando puoi
Sow a little tenderness / Semina un po’ di tenerezza
No matter if you cry / Non importa se piangi
Give me a reason to love you / Dammi una ragione per amarti
Give me a reason to be / Dammi una ragione per essere
A woman / Una donna
I just wanna is all woman / Voglio solo essere completamente donna
For this is the beginning of forever and ever / Perchè questo è l’inizio di qualcosa di eterno
It’s time to move over / E’ tempo di muoversi
So I want to be / Così io voglio essere
I’m so tired of playing / Sono così stanca di giocare
Playing with this bow and arrow / Di giocare con questi arco e freccia
Gonna give my heart away / Darò via il mio cuore
Leave it to the other girls to play / Lo lascerò alle altre ragazze per giocare
For I’ve been a temptress too long / Perché sono stata una tentatrice troppo a lungo
Just, Give me a reason to love you / Solo, dammi una ragione per amarti
Per gioco mi chiamava “Fratmo”. Io, spesso, l’ho sentito davvero come un fratello. Amico, confidente e all’occorrenza guardia del corpo. Suonava il basso. Ogni volta che si trovava su quel palco glielo chiedevo, urlavo da dietro il bancone del pub: “ Glory Box”.
Le mani gli scivolavano sulla tastiera, l’accarezzava, prendeva le misure e cominciava. Pizzicava le corde con le sue grandi e ruvide dita, movimenti perfetti e decisi che facevano godere lo strumento ad ogni tocco. Quelle note, quel suono, così intenso, così profondo.
Poi c’era lei, sempre perfetta. In quelle scarpe dai tacchi vertiginosi e in quelle magliette troppo larghe. Una donna piccola e minuta con un enorme talento. La sua voce non ha mai lasciato nessuno indifferente. Tutti ne rimanevano innamorati, e così anch’io.
La vedevi lì, quasi indifesa, poi la musica partiva e cacciava fuori tutto il suo essere donna, padrona perfetta dello spazio e della musica. Fiera, sensuale, sicura. Li adoravo. Era fantastico sentirli provare. Quando eravamo tra di noi, quando il pub aveva chiuso finalmente le porte al pubblico, mentre asciugavo i boccali di birra appena lavati, era allora che da dietro il bancone urlavo: “Glory Box”. Non ho mai saputo se a loro piacesse davvero suonarla. Non mi sono mai curata della cosa. La eseguivano in maniera impeccabile, mi trasmettevano così tante emozioni con quel brano che non ho mai pensato di essere noiosa o ripetitiva nella mia richiesta.
La proponevo praticamente tutte le sere. Sembrava fosse una canzone scritta per loro. Cazzo se erano bravi! Appena lui attaccava mi sedevo con la mia birra chiara doppio malto in bicchiere liscio (proprio come piaceva a noi) e mi lasciavo trasportare, cancellando, nota dopo nota, la fatica di una lunga serata di lavoro.