Verità o percezione?
Non saprei come raccontarlo, Valeria. Sì, avevo voglia di raccontarti l’accaduto, di confrontarmi con te e sapere la tua opinione in merito. Ma non so più l’accaduto qual è. Avevo anche una serie di immagini da offrirti, ma prima di te le offrii ad una persona presente, al par di me, a quell’evento. La sorpresa fu quando mi disse che le mie parole non gli risultavano aderenti a quanto aveva assistito. Mi sorpresi alquanto, ché le cose erano certamente andate così come io le stavo descrivendo. Allora chiesi a lui di raccontarmi. E sebbene le sue parole mi ricordassero vagamente quello che avevo visto, non ne erano pienamente descrittive di ciò che i miei occhi e le mie orecchie avevano immagazzinato. E poi intervenne un terzo signore a sorprendersi a sua volta perché noi si parlava di fatti non coincidenti con ciò che lui, presente al par di noi a quell’evento, aveva visto.
Semplicemente la realtà si presentava a noi secondo le sue poliedriche facce
Ma nessuno di noi mentiva o tentava un’inutile mistificazione del reale. Semplicemente la realtà si presentava a noi secondo le sue poliedriche facce. Da qui le mie riflessioni: la realtà è forse niente di assoluto e incontrovertibile? E’ forse una figlia della nostra sintesi?
Verità o percezione dunque? Di cosa ci nutriamo esattamente? Quello che accade è davvero quello che accade o è la percezione che noi abbiamo di quell’evento? Su tutto pesa la variabile del “filtro“. Tutto è inevitabilmente tradotto da una lente esclusiva, appartenente ad ogni DNA. Dunque il vero, il reale, sono concetti inevitabilmente volti a subire l’arbitrio dei presenti, e poi l’arbitrio di chi ascolta il racconto di chi era presente, e poi l’arbitrio di chi lo tramanda e poi l’arbitrio di chiunque, un giorno, verrà a contatto con quel pezzo di storia. Noi siamo dunque la nostra percezione, nient’altro. E la storia non è la storia, ma quello che di lei si riporta.