Primo giorno di caccia
Domani è il primo giorno di caccia. Nel bosco stasera c’è fermento. È stato indetto un raduno fra i rappresentanti di tutti gli abitanti del bosco, del prato e della palude e pure delle zone in rilievo. Ci ho pensato io personalmente a portare l’invito a tutti. Essere un allodola, cioè un piccolo uccello, ha il suo vantaggio: le ali si muovono freneticamente, ma senza fatica, siamo quasi più leggere dell’aria e andiamo ovunque velocemente. E quello che a un orecchio può sembrare un canto melodioso e spensierato stavolta era invece un messaggio urgente.
Gli umani non lo hanno capito.
Come sempre credono che a me e ai miei simili piaccia cantare perché siamo creature senza pensieri.
Quanto si sbagliano.
L’invito al raduno è venuto dal gufo dopo essersi consultato con la volpe. La saggezza e l’astuzia si sono unite per il bene comune.
Nonostante il divieto in vigore fino a oggi già da qualche giorno gli echi degli spari sono tornati a farsi sentire. Per ora sono lontani, ma si avvicineranno e presto ci saranno molte vittime. Finita l’estate comincia la guerra, una guerra crudele in cui noi e gli umani non combattiamo ad armi pari. Alati o quadrupedi siamo tutti in pericolo e non abbiamo difesa.
Siamo comprensibilmente impauriti, ma anche stufi della situazione; ecco perché stasera c’è un consiglio di guerra: l’obiettivo è stabilire una strategia di sopravvivenza.
Si è fatto buio, si è accesa la luna; l’appuntamento è in uno spiazzo erboso circondato dagli alberi ai piedi della montagna, non troppo lontano dalla foce del fiume, così che anche gli uccelli acquatici e le nutrie ci sono potuti arrivare agevolmente.
Una volta che ci siamo accomodati tutti, chi sull’erba, chi su un ramo, comincia la democratica discussione sul da farsi. Ognuno dice la sua perché nessuno di noi può dichiararsi esente dal rischio di venire impallinato dal fucile di un umano. Perfino il grosso cinghiale, pur sostenendo di non aver paura, sa bene che l’umano lo considera invadente e pericoloso e di costituire perciò un potenziale bersaglio per la sua furia cacciatrice.
Forse l’orso, con un grugnito, avrebbe voluto vantarsi di essere al sicuro da rappresaglie, in quanto le leggi umane non permettono la caccia ai plantigradi. Ma il saggio gufo gli ricorda subito che quando va a razziare gli alveari o a disturbare le greggi non si comporta certo da amico dell’uomo che anzi, se si arrabbia molto, non guarda in faccia a nessuno e spara a qualsiasi cosa si muova. A volte pure ai suoi simili. Così anche l’orso è ammutolito.
Nessuno, proprio nessuno è al sicuro con l’umano in questo periodo. Nemmeno i timidi passeri, che rischiano di finire come companatico della polenta, tanto quanto il fagiano, la pernice, il cervo maestoso o il vispo capriolo. La prospettiva fa rabbrividire tutti i presenti e si alza un coro di voci miste, abbaiate, cantate, grufolate o grugnite in cerca di una soluzione.
Per ristabilire il silenzio la volpe, che non ha una voce molto potente, fa cenno alla puzzola di alzare la coda e farsi un giretto attorno ai convenuti. L’odoraccio fa tacere tutti, sopraffatti dal disgusto. Per fortuna che nessuno vuole male alla puzzola che forse puzza, ma è molto simpatica e mansueta.
Alla fine, mentre le stelle si rincorrono nel loro moto perpetuo e il faccione della luna compie la consueta parabola giocando a nascondino con la montagna, si decide quanto segue.
Quando i cacciatori cominceranno ad avvicinarsi l’azione difensiva diventerà giocoforza offensiva per potersene liberare in modo meno cruento possibile: nessuno di noi ama la violenza inutile. Noi non siamo umani.
nessuno di noi ama la violenza inutile. Noi non siamo umani.
Per prima cosa sarà necessario distrarre i cani.
I cani sono nostri fratelli, ma da quando vivono con l’umano a volte se ne dimenticano. La loro fame di affetto è risaputa, farebbero qualsiasi cosa per il proprio umano. Però noi che li conosciamo sappiamo che spesso hanno fame anche di cibo, oltre che di coccole, e forse la prospettiva di mangiare qualcosa di buono potrebbe distogliergli dalla smania di stanare i piccoli uccelli, farli volare e mandarli incontro ai pallini mortali.
E come si fa a far venire l’acquolina in bocca a un cane affamato? Per esempio con una salsiccia… di cinghiale. Il quale non ha affatto voglia di diventare salsiccia, ma toccherà a lui, con il suo odore, attirare i cani in un posto lontano. Gli abbiamo tanto raccomandato di non far loro del male, che non lo meritano. Se c’è da difendersi va bene, una raspata di zoccoli come per caricare può servire, ma niente di più. Piuttosto si cercherà di parlare ai nostri fratelli canini e di portarli dalla nostra parte.
L’auditorium in proposito si divide in due: c’è chi pensa che dai cani non otterremo niente, perché troppo fedeli, e chi il contrario, perché troppo intelligenti.
Lo vedremo.
Una volta rimasti soli non è che gli umani siano meno pericolosi. Si fanno aiutare dalle trappole. Volpi, tassi, lepri, piccoli uccelli ci finiscono dentro e ci lasciano penne e pelo. E spesso la vita.
Per scongiurare il più possibile questa strage nella strage e localizzare le postazioni delle varie trappole entrerà in gioco la contraerea. O meglio il falco, che con il suo leggendario occhio è in grado di setacciare ai raggi X il bosco e tutto il circondario. Sarà compito suo strillare come un pollo quando uno di noi alleati starà per finirci dentro. Senza barare, pensando di artigliare il leprotto incauto imprigionato per poi mangiarselo: quello della sopravvivenza naturale è un altro discorso che si combatterà lealmente fra gli interessati in un altro momento, quando il leprotto avrà la possibilità di scappare con le sue lunghe zampe e il falco una uguale possibilità di catturarlo. Primo obiettivo resta l’umano con le sue armi di distruzione di massa.
Neutralizzati trappole e cani restano le armi da fuoco. Nel musicale e multiforme vociferare degli abitanti di questi luoghi, amici per l’occasione, si è arrivati a ipotizzare diverse azioni di guerriglia ad opera di guastatori e incursori.
Della serie, l’umano è imprevedibile e non si comporta sempre allo stesso modo; bisognerà agire di conseguenza e talvolta improvvisare.
Se per caso lo si sorprenderà a schiacciare un sonnellino, quasi certamente le armi saranno depositate lì vicino. Sono strumenti pesanti, ma un manipolo di robusti tassi potrebbe impossessarsene in silenzio, aiutati dalle volpi, in avanscoperta a fare da sentinella. Le signore volpi così si renderebbero utili senza sciupare la bellissima pelliccia; ai tassi invece della loro poco importa e possono fare da manovalanza.
Una volta trascinate lontano le armi verranno appese alle corna dei cervi e portate in un luogo segreto, dove la famiglia dei cinghiali (sempre loro), scavando con zoccoli e musi su indicazione delle talpe, che conoscono il sottosuolo meglio di chiunque e sapranno scegliere il terreno più morbido, le seppellirà profondamente.
In alternativa c’è la possibilità, un po’ rischiosa, di mettere all’opera i caprioli. Dovranno correre all’impazzata, saltando qua e là come sanno fare solo loro. La fuga scomposta e contemporanea di tanti individui in tutte le direzioni dovrebbe disorientare il nemico umano, che però per il malefico istinto che si ritrova, finirà comunque per alzare il fucile cercando di prendere la mira. Prima dello sparo un nugolo di creature alate gli dovrà piombare addosso: le più piccole svolazzando intorno al capo, davanti agli occhi, rubando il cappello, creando insomma un diversivo. Le più grosse, come gufi, civette, cornacchie e ancora, se volessero, il falco e la poiana, calando sull’arma, arraffandola con gli artigli e portandola via, sempre nel luogo segreto, per essere seppellita.
A questo punto della discussione interviene il rappresentante degli orsi con un sonoro “E io??”. Non gli va proprio di restare in disparte. Come potrebbe dare una mano nella battaglia una creatura che certo non passa inosservata?
Semplice. Abbiamo convenuto all’unanimità che all’orso basta fare l’orso!
Abbiamo convenuto all’unanimità che all’orso basta fare l’orso!
Su segnalazione canora delle sentinelle alate, tipo fringuelli, cardellini, merli eccetera (che cureranno anche tutte le comunicazioni in codice durante la battaglia), l’orso si recherà alle spalle del malcapitato, cercando di non fare troppo rumore nonostante la stazza. Una volta raggiunto il bersaglio gli basterà fare un gran grugnito il più vicino possibile alle orecchie umane. Siamo tutti certi che dal terrore qualcosa succederà: il fucile cadrà dalle mani, i capelli imbiancheranno, forse i pantaloni si sporcheranno, di sicuro le gambe si azioneranno più veloci del vento e dell’uomo, in un soffio, non resterà che uno (sgradevole) odore.
L’orso è soddisfatto del suo futuro compito, neanche avesse infilato il muso nella più dolce delle arnie, non vede l’ora di svolgerlo al meglio. Tutti noi, vedendolo gongolare, ridiamo di cuore, l’allegria prende il sopravvento, per un poco, sulla paura e sull’ansia, in una babele di versi… diversi nelle ombre dei cespugli circostanti.
Le ombre stanno svanendo, un nuovo giorno sta per risvegliarsi.
Da lontano, l’abbaiare di un cane e uno sparo ci riportano alla realtà. Una espressione timorosa ma al contempo decisa è impressa sui musi e sui becchi di tutti i presenti.
La battaglia comincia.
Vinceremo noi.