Papà, non ti ho mai visto piangere
“Papà, che hai combinato?”
Sembra dire questo lo sguardo del Bambino – Il Figlio del Papà, il protagonista di Ladri di biciclette – nel finale del film.
Al papà hanno rubato la bicicletta qualche giorno prima. Quella bicicletta comprata con i soldi ricavati dalla vendita delle lenzuola, perché tanto “si può anche vivere senza lenzuola, no?”
La bicicletta è importante, perché senza di lei il papà non può lavorare.
Gliel’hanno rubata proprio sotto il naso al povero papà, mentre incollava dei manifesti con Rita Hayworth sui muri di Roma.
Inutile la ricerca a Piazza Vittorio, inutile la ricerca a Porta Portese, la bicicletta non si trova da nessun rivenditore.
Come se non bastasse il papà a un certo punto è convinto di aver trovato il ladro, lo accusa, lo blocca, lo aggredisce, ma alla fine si rende conto che molto probabilmente è stato un abbaglio, il ladro non è lui, rischia una denuncia, la bicicletta non c’è. Non c’è la bicicletta, non c’è lavoro, non ci sono soldi, non si va avanti.
Così la decisione improvvisa di rubarne una lui, di bicicletta.
Beh, sì, che c’è? Perché me guardi così? Perché me giudichi? A me hanno rubato na bicicletta, non riesco a ritrovarla, me la riprendo da n’ artra parte.
Pensi sia na scelta facile? Mica so’ ‘n ladro io. Io so’ disperato, senza bicicletta la mia famiglia non ce la fa.
Si avvicina a una bicicletta parcheggiata davanti un portone e – via! – veloce come lo era stato il “suo” ladro, La bicicletta è importante, perché senza di lei il papà non può lavorare
Ed ecco il bambino, suo figlio, che stava con lui fino a qualche minuto prima, ma che poi, sotto comando del padre, si era allontanato per tornare a casa.
Il figlio vede subito il padre che schizza con la sua -non sua- bicicletta e tanti uomini arrabbiati che lo seguono.
Terrore, un pizzico di rabbia, ma soprattutto tanto, tanto spavento.
Gli uomini bloccano il padre, il bambino si avvicina, piange, cerca di avvicinarsi.
Gli uomini vogliono denunciare il padre, lo insultano, lo strattonano.
Papà, perché?
Non è facile capire.
Il padrone della biciletta vede il figlio in lacrime e decide di non denunciarlo. Gli altri uomini se ne vanno amareggiati.
Lasciano spazio al momento più intimo di Ladri di biciclette.
Il papà intraprende amareggiato il cammino per casa, il figlio lo segue, ancora intimorito, spaventato.
È un bambino cresciuto quello lì. La prima cosa che si nota durante la visione del film: quel bambino sembra un piccolo adulto, un ometto.
Quell’ometto alza lo sguardo, vede il padre, un eroe sconfitto.
Vede che le lacrime stanno per sgorgare dai suoi occhi.
Papà, quegli uomini te volevano ammazzà? Perché non riusciamo a ritrovare la tua bicicletta, dove l’hanno ficcata? Perché hai rubato quella lì?
Papà.
Cosa se fa quando succede così, papà? Che te devo dì? Se ti dico qualcosa poi ti arrabbi? Se te faccio vedé che te sto vedendo piangere poi non mi vuoi più bene?
Faccio finta de niente, pà?
Magari sai che faccio, io non è che ci sto capendo molto. È che ho paura. Pensavo che te stavano aammazzà.
Papà, io non ti ho mai visto piangere.
Il bambino prende la mano del padre e la stringe.
Quel gesto avvenuto sempre al contrario. In quel momento, in quell’occasione, lo fa lui.