C’era una volta l’autunno
Iniziamo col dire che quest’anno è il 23, quindi dopodomani, e già questo mi destabilizza, perché io credevo fosse il 21, chissà perché poi. Un’altra bella cosa è che tra poco cambierà l’orario: il sole mi trafiggerà le palpebre prima e scomparirà prima, cioè lasciandomi al buio proprio in quelle ore in cui lavoro meglio, alla sera. Eppure a me l’autunno piace. Piaceva, ora non so più cos’è: dall’estate si passa all’inverno e chi se ne frega se è colpa di Tatiana o meno. Quest’anno avevo intenzione di uscire col mio bambino, portarlo in giro per i boschi, a cercare foglie per fare un erbolario. Qui però ancora è estate e nei boschi col cavolo che le foglie si seccano. Mi ricordo da bambina, quando l’autunno ancora c’era. C’era odore di marciapiedi bagnati e di quaderni nuovi. C’erano i riscaldamenti a gasolio che mi sembravano il meglio della modernità.
C’era una maestra avanti negli anni che per lo sbalzo di ormoni apriva la finestra a novembre, e c’erano i banchi di legno, come quelli che ora vedi solo nei film. Il pavimento era in graniglia, di quello che se cadevi ti spaccavi la rotula tanto per gradire. C’erano le merendine fatte dalla mamma, la torta margherita, con lo zucchero a velo sopra, ora chissà perché la chiamano Kinder Paradiso. C’erano le pizzette e i panini col pomodoro e nessuno era grasso.
C’era l’ora di educazione fisica che non facevamo mai, ma approfittavamo per correre liberi in palestra, perché allora non avevamo millemila attività, solo la scuola e al massimo il catechismo se ti dovevi cresimare o fare la prima comunione. Io no, io andavo anche all’azione cattolica, ACR. Basta così. I miei lunghi e uggiosi pomeriggi autunnali li passavo a casa a disegnare. Un po’ di TV, il tanto che bastava perché i cartoni li davano solo alla sera e solo un paio.
L’autunno era il mese in cui volevo tanto le galosce, da noi stivali di gomma, che erano solo monocolore, se eri fortunato rossi, se no gialli. I grandi li avevano tutti verdi, di quelli da campagna, o neri, come quelli che se trovi pure l’impermeabile nero sei l’assassino seriale.
L’autunno era anche castagne arrosto nella pentola coi buchi che non ho mai capito perché c’erano e a cosa servissero. Le castagne scoppiettavano sul fornello, il profumo si spandeva per le stanze. Una volta arrostite mamma le metteva in una busta del pane, di quelle belle porose, non come quelle di adesso che sembrano di plastica e avvolgono pane di plastica. Sentivi il loro calore attraverso C’era una maestra avanti negli anni che per lo sbalzo di ormoni apriva la finestra a novembre, e c’erano i banchi di legno, come quelli che ora vedi solo nei film.
Autunno era “Evviva siamo quasi a Natale” e sfogliavo i cataloghi dei giocattoli della Upim per scegliere quello che avrei voluto farmi portare da Babbo Natale. Autunno era la pioggia battente che illanguidiva il paesaggio e le mazze di tamburo fritte che saturavano l’aria.
Non faccio una colpa al tempo, sia chiaro, è che a me i cambiamenti proprio non piacciono. E ne ho visto troppi, troppi tutti assieme da metabolizzare in una sola vita.
Autunno. Era.