Estate retrò

Questa che sta avviando alla fine la definirei retrò.

Ogni estate è breve. Talvolta è intensa. Per quanto tu la possa vivere e godere a pieno, finisce per finire troppo presto, sempre.

L’estate ha un suo mood, un percorso, un’atmosfera dei giorni. Ha una scia che si disegna da sola, e che ci invita a  guardare in una direzione. Prende forma un disegno che si sottende al vissuto, una voce narrante che collega gli episodi giornalieri e ne fa una storia. La storia della tua estate.

La mia estate retrò non guardava avanti, ma indietro. Era tutta volta alle mie estati del passato, quelle dell’infanzia e della gioventù, comunque di fasi lontane della vita.  Non si è trattato di una retrospettiva consapevole; si presentava così ogni giorno, con un filo del ricordo e del vissuto che mi obbligava a girarmi alle spalle.

Lo trovavo ovunque. Nei libri che leggevo, in ciò che io stessa stavo scrivendo, negli inviti ad andare in questa o quella località, nelle spiagge che sceglievo per fare il mare. In viaggio. Persino nelle foto scattate, o nelle musiche che ascoltavo. E talvolta, per puro caso.

 Le estati del passato si ripresentavano – con la nostalgia di essere rivissute – nei giorni attuali, come cartoline della memoria, come time lapse in cui cadere. E io mi ci ritrovavo dentro.

Il caldo africano di certi pomeriggi, i temporali fragorosi d’agosto, le palazzine degli anni ’60 nelle località litoranee. Certi pezzi tipici dell’estate, le cui note si ascoltavano d’improvviso provenienti da qualche dove.

Gli stabilimenti balneari. Quelli facevano addirittura da padrone.

Una per me alquanto insolita frequentazione della Versilia mi ha portato davanti agli occhi il Bagno Antaura, per esempio, dove Giampaolo Simi ha ambientato la storia del suo Cosa resta di noi,  una delle letture più intense e gratificanti di questa estate.

Ma mi ha condotto anche al Bagno Tirreno del Tritone, un luogo di quelli d’antan. Si trova tra il Tonfano e Fiumetto, a Marina di Pietrasanta, nella zona intorno al Parco della Versiliana: è un bagno poco glamour, a dimensione familiare. Non ha troppe comodità lussuose che sembrano necessarie oggi in Versilia per andare a mare. E’ un bagno con gli ombrelloni a righe blu, la granita fatta con il ghiaccio macinato nella macchinetta di alluminio e con gli sciroppi all’antica; menta, orzata, tamarindo.

Il gestore si fa chiamare il Tritone, e si diverte ad organizzare una specie di Giochi senza frontiere per bambini di ogni età, utilizzando strumenti costruiti da lui con oggetti di recupero. Giochi antichi, fatti di acqua, sabbia, di mira e di un poco di forza; di fortuna o di sveltezza. Un’amica che abita non lontano mi ha invitato a parteciparvi coi nostri bambini, e così, nell’ultimo torneo a fine agosto, siamo andati.

Le temperature erano già meno roventi, i cieli avevano preso un blu deciso e grosse nubi circolavano veloci e bianche dopo aver scaricato nei giorni precedenti sonori temporali.

Sembrava un allegro torneo di fine estate, i molti bimbi partecipanti coprivano diverse fasce di età, dall’asilo fino alla fine della scuola elementare. Le nostre dodicenni lunghe, agili e ancora molto bimbe nell’animo erano le più grandi e si dovevano accontentare di stare nel gruppo con la bandana rossa, quello fino a dieci anni. Gli organizzatori dei giochi coordinavano la divisione in gruppi e la distribuzione delle bandane colorate: celeste, arancio, gialla…

I bambini le indossavano da soli raggruppandosi intorno alla parte di spiaggia attrezzata per la piccola olimpiade.

Il signor Tritone e i suoi aiutanti assistevano e coordinavano di persona l’andamento delle gare. Si trattava di fare centro con la palla rovesciando il compagno di giochi in una vasca d’acqua, o facendogli cadere in testa un secchio d’acqua con l’aiuto del “culometro”, uno strumento azionato da una certa parte del corpo che doveva fare leva energicamente su un sedile. Di pescare grossi pesci attraverso una canna magnetica, di calciare un pallone e mandarlo in mare dentro una rete da pesca, di tirare palline in un bersaglio dove al centro compariva la faccia di un altro bambino. Giochi abbastanza banali per i tempi d’oggi, se si vuole.

Ma la cosa davvero incredibile, era che non esisteva di fatto neppure una gara. Ogni bambino di ogni gruppo aveva diverse possibilità di fare centro, o di portare a compimento l’impresa assegnata. Si poteva ripetere molte volte per mettersi in pari con l’amichetto che alla prima ti aveva fatto volare in vasca, per fare patta con il fratellino, o se eri debole, strabico o per qualsiasi motivo meno scaltro di un altro nella prova dovevi avere comunque la tua chance di riuscire. Nessuna squadra accumulava punti e precedeva un’altra in un punteggio. Non c’erano vincitori, ma solo partecipanti. Il premio era veder ridere l’amico, o finire in acqua una volta in più, farcela seppure al quinto tentativo, o sentire il Tritone che lodava la durezza del tuo lato b che aveva fatto volare subito la pallina nel culometro.

Insomma, immaginatevi quegli stessi bambini – i nostri di oggi – tirati su dalla società a stare tutto il giorno impegnati in giochi virtuali, chini su un computer o uno smartphone, avvezzi a competere su tutto, a cercare sempre risultati eclatanti, immaginateli sulla spiaggia a Fiumetto bagnati fradici e sporchi di sabbia ovunque. Vedeteveli a giocare all’aria aperta con bambini molto più piccoli, e a farlo senza dover vincere o dimostrare qualcosa. Pare possibile solo in un mondo retrò, appunto. Eppure questi bambini si davano da fare. Ridevano, gioivano, attendevano pazienti il loro turno, facevano il tifo per l’altro.

Ecco, era surreale tutto questo, era fuori tempo, e per questo forse così decisamente bello. Sembrava di essere tornati indietro di una quarantina d’anni almeno. Era un rewind ad un’epoca dove certi giochi innocenti provocavano felicità, impegno, stanchezza. Soddisfazione. Per una vittoria che era bomboloni e una fetta d’anguria. Tutti in fila, con il Tritone a controllare che ciascuno ne prendesse una porzione soltanto, così che tutti ne avessero.

Tornando indietro sulla spiaggia quella sera, quella sera che in qualche modo è divenuta l’ultima sera al mare della mia estate retrò, credo di aver capito una cosa.

Se ci fossero più persone capaci di riportarci indietro alle cose semplici e nostalgiche di un tempo, noi tutti – grandi e piccoli – saremmo ben felici di seguirle, per ritrovare un’innocenza e una semplicità perdute che sono quello di cui forse di cui sentiamo davvero la mancanza.